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I racconti dell’immaginario folclorico di Minucciano

Raccolti e rielaborati dalla classe prima della scuola secondaria di primo grado di Gramolazzo – Docente Lisa Comparini

Il Malocchio

NARRATORE: Domenico Iacopi           

AUTORE: Francesco Iacopi

A Gorfigliano, quando ero bambino, gli anziani del paese sostenevano che ci fossero due donne in grado di dare il malocchio. Quando le vedevano passare in strada, le persone costringevano i bambini a restare dentro casa. Quelli che rimanevano fuori, infatti, prendevano il malocchio e venivano portati da una donna che si chiamava “Ortè”, in grado di togliere loro questo “male”. Nonostante ciò, ci fu un caso così acuto che a nulla valsero i suoi aiuti: la bambina colpita dal malocchio non mangiava più e piangeva sempre. I suoi genitori, allora, la portarono a Barga da una “santona” che le fece un trattamento, così cominciò a stare meglio. La “santona” disse alla mamma che se avesse voluto conoscere il nome dell’artefice della “maledizione” avrebbe dovuto bollire gli abiti indossati dalla bambina. Appena misero la pentola al fuoco, si sentì bussare alla porta e quando andarono ad aprire capirono chi aveva fatto questo malefizio. Il prete la benedì e da allora non si sentì più parlare di questa donna. Ancora oggi, a Gorfigliano, sopravvive  questa credenza, così le persone che si ritengono colpite da questa specie di sortilegio si recano da una donna che sta al “Calcinà”, la quale con una medaglia e un’orazione dà un po’ di pace e serenità alla gente del paese.

Il serpente Devasto

NARRATORE: Luana Tramontana

AUTORE: Christian Traggiai

Si dice che una volta a Bergiola, dove ci sono le rovine, ci fosse un serpente gigantesco chiamato “Devasto”.

Gli anziani del paese sostenevano di averlo visto in diverse occasioni, anche se non se ne ha la certezza; infatti è più probabile che fosse solo frutto dell’immaginazione collettiva e che servisse solo per dissuadere le persone dal portar via le castagne, da l raccogliere i funghi o dal rubarli.           

Anche mio padre me lo raccontava sempre: diceva che questo serpente fosse grande e che avesse la bocca delle dimensioni di una ciabatta. Lo strano animale attraversava la strada di Minucciano e, al suo passaggio, la gente ne era terrorizzata. Qualcuno sostiene che, ancora oggi, ci si potrebbe imbattere nei suoi figli.                                                          

Ci auguriamo che non si verifichi mai questa possibilità, perché se ci fossero dei serpenti così grandi bisognerebbe davvero aver paura!                                                                                         

Il serpente Devasto

Narratore: Sonia Spadoni                           

Autore: Viola Nardini

Si tramanda da tempo, almeno dagli anni Quaranta, la leggenda di un grosso serpente  chiamato “Devasto” che vive in un paesino nei pressi di Pieve San Lorenzo, Bergiola. Si dice che questo animale dalle dimensioni innaturali risieda in un pozzo profondo ancora oggi presente nel paese.

Questo serpente, negli anni, è stato avvistato da una decina di persone: qualcuno lo ha visto aggirarsi nei boschi mentre andava in cerca di funghi, altri lo hanno notato mentre attraversava la strada di Minucciano e proseguiva verso il fiume, forse per andare a dissetarsi. Le peculiarità che rendono questo essere molto spaventoso sono: in primo luogo la sua grandezza, che arriva addirittura a due metri! Il suo corpo, poi, è robusto come un braccio! La caratteristica più sorprendente, però, è il suo muso, sopra al quale risalta una grossa cresta, chiamata anticamente “panarina”.

Quando le persone lo incontrano, con la bocca spalancata, rimangono sbigottiti e tornano a casa talmente terrorizzati e inorriditi da perdere persino la facoltà di raccontare l’accaduto.

C’è anche un’altra versione della leggenda in cui si dice che, di notte, il serpente si recasse al cimitero di Pieve San Lorenzo e che strisciasse all’interno di una grande tomba, anche se non se ne ha una reale prova. Lo stesso nome di “Devasto” deriva dal fatto che, quando si muoveva, faceva un gran rumore sradicando tutti gli arbusti che incontrava nel suo percorso.

La Leggenda dei Mascheri

Narratore: Stefania Grilli                                     

Autore: Gabriel Romei

I miei nonni paterni mi raccontavano sempre una leggenda del loro paese, Petrognano, che narrava di una particolare sera di tantissimi anni fa, l’ultima sera di Carnevale. La tradizione voleva che, in occasione dell’ultimo giorno di questa festa, i ragazzi del paese si mascherassero e andassero a bussare alle porte delle case per chiedere almeno qualche dolcetto e un po’ di frutta, dato che in quegli anni c’era poco da offrire. Coloro che si mascheravano venivano chiamati “mascheri” perché pitturavano il loro viso e realizzavano le maschere autonomamente, dimostrando la loro creatività. Spesso, passando di casa in casa, invitavano i bambini presenti insieme a loro per finire il giro del paese e essere poi accompagnati nuovamente a casa.

Si racconta che una volta, una coppia di coniugi con una bambina, sentendo bussare alla porta di casa, la aprirono e videro due mascheri con una cesta in mano in cerca di cibo.            I padroni di casa avevano già preparato un po’ di frutta e dei biscotti da offrire loro.             La bimba, entusiasta della visita in quella sera festiva, chiese ai genitori il permesso di seguire i ragazzi mascherati nell’ultimo tratto della loro camminata. Naturalmente i genitori erano convinti che fossero persone fidate del posto, quindi acconsentirono.           

Dopo un po’ di tempo, la bimba non tornava e i suoi genitori, preoccupati, andarono a cercarla perché stava calando la notte. Così avvertirono immediatamente i compaesani, per sapere se gli altri bimbi fossero rientrati e appresero che erano già tutti a casa.                                                  Tutti gli abitanti del luogo si allarmarono: iniziarono le ricerche che durarono per tutta la notte, ma senza alcun risultato. Nessuno conosceva l’identità dei due mascheri, quindi tutti erano molto spaventati dall’accaduto, che non era mai avvenuto precedentemente.

Purtroppo, dopo varie ricerche, il corpo della bimba senza vita fu ritrovato nei pressi di una grotta che, ancora oggi, riporta la croce alla sua sommità, in ricordo di questo tragico avvenimento. Da questa leggenda possiamo trarre un insegnamento: non bisogna mai fidarsi degli sconosciuti!

La leggenda Tripala

Narratore:Osvaldo Morosini                           

Autore: Sebastiano Morosini

Nella località di Tripala in cui vivevo quando avevo dodici anni, non c’erano ragazzi della mia età, quindi sarei andato volentieri nel paese vicino, chiamato Antognano, ma mia mamma me lo impediva perché diceva che lungo il tragitto, precisamente nei pressi della località “Bora”, c’erano gli spiriti. Gli spiriti erano soliti manifestarsi all’improvviso e spaventare a morte le persone. Inizialmente ero titubante nel mettermi in cammino, ma poi mi feci coraggio e decisi di portare con me il mio cane. Avevamo un grosso cane, di nome Yorkin, che aveva un vizio: non si spostava da casa se vedeva le persone abbigliate in modo elegante perché sapeva che sarebbe andato in posti che non gli interessavano. Per convincerlo a seguirmi, gli lanciai qualche pezzetto di formaggio in modo che proseguisse senza esitazione. Quando arrivai a circa dieci metri dalla pianta di quercia dove erano soliti apparire gli spiriti, vidi due occhi bianchi risplendere nel buio e il cuore mi batteva all’impazzata per la paura. A quel punto, spinsi il cane verso quegli occhi terrificanti per vedere se fosse veramente uno spirito oppure, semplicemente, un animale. All’improvviso, con un balzo fulmineo, saltò fuori un gatto dal buio e si arrampicò sulla quercia. Così, con grande sorpresa, scoprimmo che non si trattava di uno spirito, bensì di un semplice gattino impaurito.

Da questa esperienza capii che gli spiriti non esistevano e che tutti gli strani rumori e gli occhi che brillavano nel buio erano da attribuire ad animali. 

Da quella sera, ho continuato sempre ad andare al paese di Antognano, senza timore.

La paura

NARRATORE: Lucia Casotti

AUTORE: Camilla Marchi

Tanto tempo fa, nel paese di Gorfigliano, c’era una ragazza che si vantava sempre di  non avere mai provato paura per alcunché. I suoi amici, volendosene accertare, le proposero una sfida che consisteva nell’andare da sola nel cimitero della Chiesa Vecchia, entrare e piantare un fuso nel terreno, per dimostrare così di esserci stata e poi andarsene via.

Lei accettò perché niente sembrava spaventarla e confidava nel suo ineguagliabile coraggio. Quando si fece buio, si incamminò e arrivò al Camposanto, ma nel piantare il fuso, la lunga gonna le rimase incastrata fra quello e la terra. Quando si apprestò ad andarsene, si sentì tirare il lembo della veste e si spaventò talmente tanto da morire di paura.

La millanteria di qualche straordinaria capacità o abilità, spesso, è solo una “maschera” che nasconde proprio il suo contrario!

Parole nuove

NARRATORE: Giuseppina Mercoledì

AUTORE: Matthew Centofanti

Una volta, a Castagnola, un paesino situato nella zona montana dell’alta Garfagnana popolato da persone che non sapevano comunicare a parole, c’erano tre giovani che volevano imparare a parlare. Così i tre decisero di incamminarsi alla ricerca di nuovi vocaboli. Nel loro tragitto, il primo sentì dire la parola “noi” che gli piacque così tanto da indurlo a ripeterla molte volte per impararla:  «Noi, noi, noi!»

Adesso toccava al secondo imparare la sua parola; quando la sentì pronunciare la ripeté subito: «Per denaro!»

Il terzo imparò: «È giusto e di dovere!»

Soddisfatti e compiaciuti dei loro progressi, si incamminarono per la via di casa… Inaspettatamente si imbatterono in un cadavere! Sbigottiti da quella macabra visione, si avvicinarono al corpo senza vita per capire cosa fosse successo e, nel frattempo, arrivarono i carabinieri. I due ufficiali in divisa, senza esitare, iniziarono il loro interrogatorio, rivolgendosi ai tre:

«Chi lo ha ucciso?»

E il primo rispose prontamente: «Noi!»

Il  carabiniere ribatté: «E per quale ragione?»

«Per denaro!», disse l’altro.

«Allora, dovrete seguirci immediatamente in caserma!», tuonarono all’unisono i carabinieri.

E il terzo: 《È giusto e di dovere!》.

Finalmente quegli sciocchi avevano imparato a pronunciare nuove parole, ma senza conoscerne il significato e, per questo, finirono in galera tutti e tre!

I fantasmi della casa Tonini

NARRATORE: Albertina Cabonargi

AUTORE: Lorenzo Martini

A Gramolazzo, nella parte del paese abitata in passato e situata nella zona più alta, si trova un’enorme e lugubre casa, appartenente ad una ricca famiglia: Mori e Tonini. Anticamente, queste persone aiutavano i poveri del paese cucinando per loro il farro nello scantinato sotto gli archi, donandolo la domenica e durante i giorni festivi. Come spesso accade nei piccoli borghi montani, i giovani della famiglia se ne andarono in città, in cerca di maggiori possibilità e i vecchi rimasti morirono.

Da allora, la leggenda narra che si sentono rumori sinistri, voci stridule, note di pianoforte provenire dalla casa disabitata. All’interno della casa c’era un  grandissimo salone dall’aspetto torvo e inquietante, dove alcuni coraggiosi andavano a fare sedute spiritiche per riuscire ad avere un contatto con gli occupanti della casa.

Il biscio Bimbin

NARRATORE: Caterina Orsi

AUTORE: Ilenia Mercoledì

Anticamente, il paese di Gorfigliano non era situato nella stessa posizione rispetto a dove è collocato adesso, ma si trovava in alto, sotto al campanile della Chiesa Vecchia.

La gente era concentrata in quel luogo, mentre nella parte bassa c’erano i campi e le capanne dove si trovavano gli animali. Ogni mattina, gli uomini li accudivano dando loro da mangiare e poi andavano alla cava di marmo a lavorare. Le donne, invece, erano dedite al lavoro della terra e ad accudire i figli.

Sotto il paese c’era l’unica fonte di acqua potabile del luogo, alla quale attingevano tutti gli abitanti, perché le abitazioni, al contrario di oggi, ne erano prive. Per questo motivo, dato il grande afflusso di persone, la fonte era diventata il luogo del ritrovo paesano, dove le persone si intrattenevano a parlare. Questo fatto sicuramente infastidiva qualcuno. Iniziò quindi a circolare una strana diceria e si fece un gran parlare di un enorme serpente che frequentava quella fonte. La cosa più sbalorditiva era che la testa di questo serpente non era simile a quella di un rettile, ma aveva sembianze umane: sembrava quella di un bambino! Da ciò deriva il suo nome: “Biscio bimbin”, ossia biscio-bambino.

Gli abitanti del luogo cominciarono ad avere paura, quindi trascorrevano alla fonte solo il tempo necessario per prendere l’acqua, poi tornavano immediatamente a casa. Con il timore però cresceva anche la curiosità, quindi gli uomini cominciarono ad andare alla sua ricerca, ma del serpente non trovarono alcuna traccia. Dopo poco tempo, capirono che quell’essere mostruoso era solo frutto della fantasia e che, probabilmente, era solo una storia inventata da qualcuno a cui dispiaceva vedere tutta la gente a prendere l’acqua!

Il Buffardello”

NARRATORE: Danila Paoli                                

AUTORE: Denise Fili

Nelle leggende che ci sono in Garfagnana, si racconta che il Buffardello sia un omino piccolo, molto scherzoso e vestito di rosso.

È un folletto dispettoso, a cui piace fare gli scherzi: si dice che adori i capelli delle donne e che, per questo, li aggrovigli e li intrecci. La sua propensione per i “capelli” si spinge anche verso gli animali, specialmente nel fare le trecce alle code dei cavalli e delle mucche.

La leggenda ci tramanda che il folletto si manifesti nel periodo immediatamente precedente alla vigilia di Ognissanti. Quando la gente del paese ripuliva i boschi, i campi, raccoglieva le foglie e le ammucchiava per bruciarle, il Buffardello si divertiva a sparpagliarle tutte, creando dei vortici di aria che le disperdeva ovunque.

Questo strano folletto abita nei boschi, oppure sotto i tetti o le piante. C’è chi dice che il Buffardello sia invisibile, mentre altri sostengono di averlo visto perché, a volte, si mostra volontariamente.