Il Natale a Lama dei Peligni
di Amelio Pezzetta
Introduzione
Con il presente lavoro si analizzano e descrivono tutte le tradizioni natalizie raccolte a Lama dei Peligni, un Comune abruzzese della Provincia di Chieti situato alle falde della Majella.
I fatti riportati nel presente saggio sono la conseguenza di conoscenze dirette dello scrivente, interviste, consultazione di fonti archivistiche e materiale bibliografico. Nella sua stesura: dopo la parentesi introduttiva si opera una prima distinzione fra tradizioni del passato e quelle attuali; per quelle che si sono conservate si evidenziano i processi di rifunzionalizzazione a cui sono state sottoposte e con essi i nuovi significati che hanno acquisito; si analizzano le conseguenze derivanti dall’immissione in rete attraverso facebook e altri network.
Origini del Natale e caratteristiche generali delle sue tradizioni
Il Natale è una delle più importanti feste del mondo cristiano, commemora la nascita di Gesù Cristo ed è caratterizzato da tradizioni di diversa natura e origine. Le prime testimonianze riguardanti la sua celebrazione risalgono al IV secolo. Infatti, si presuppone che a Roma fosse celebrato nel 335-337 e in un antico documento dell’epoca è scritto: “VIII Kal. Jan. Natus est Christus in Betheleme Judeae” (Auf Der Maur 1990: 249) il cui significato è che l’ottavo giorno antecedente le calende di gennaio, cioè il 25 dicembre, a Betlemme è nato Gesù Cristo. Le prime comunità cristiane il 25 dicembre celebravano il passaggio dalle tenebre alla luce poiché salutavano l’apparizione della prima luce del mondo. Più tardi la scadenza calendariale diventò la celebrazione della nascita di Cristo. Nella nuova festività, vari miti pagani sopravvissero e si fondarono nella cornice cristiana che celebrava la nascita del Redentore.
Il Natale di Gesù Cristo si contrappose alla festa pagana del Dies Natalis Solis Invicti, alla celebrazione del solstizio invernale e a una festività promossa dall’imperatore Aureliano nel 275 per celebrare Mitra, la divinità latina corrispondente a Dioniso greco, il divino bambino nato da una vergine por portare nuova luce nel mondo. Inoltre nella Roma imperiale dal 17 al 23 dicembre si organizzavano i Saturnali, feste di allegria che potevano assumere caratteri orgiastici e prevedevano divertimenti popolari, grandi banchetti, scambi di doni e giochi d’azzardo. Durante i festeggiamenti l’ordine sociale si sovvertiva ossia cadevano alcuni valori della società romana, si eleggeva un fittizio monarca chiamato “Rex Saturnaliorum” e temporaneamente schiavi e servi potevano sentirsi liberi e padroni.
Nel 529 con l’imperatore Giustiniano, il Natale divenne una festa civile e con l’avanzare dei tempi, vi furono associati particolari riti religiosi e prescrizioni per i credenti. Infatti, nell’epoca carolingia, secondo Miccoli tra i più importanti obblighi religiosi dei laici c’era la necessità di comunicarsi a Natale (1), mentre all’inizio del IX secolo era inserito tra le principali feste di precetto. Nel 1476 Ferdinando d’Aragona ordinò la riduzione dei giorni festivi di precetto nel Regno di Napoli ma mantenne il Natale. Una bolla papale del 1748 ribadì che il 25 dicembre si doveva osservare il precetto festivo.
Il periodo natalizio che in questo saggio si considera limitato dal 24 al 26 dicembre, nelle tradizioni popolari italiane è tempo di gioia, ha caratteri propiziatori e di conseguenza si fanno doni ai bambini per favorire buoni comportamenti. Inoltre è caratterizzato da funzioni religiose tipiche, banchetti conviviali, rituali per predire il futuro, scambi di auguri, credenze in vari eventi prodigiosi e altro. Nelle tradizioni del periodo compaiono anche dolci tipici, l’albero natalizio, il presepe e Babbo Natale.
L’albero natalizio consiste in un abete talvolta finto cui si appendono doni, fiocchi e luci colorate che si accendono a intermittenza. L’albero come simbolo del Natale fu utilizzato la prima volta nel 1510 in una piazza di Riga, la capitale della Lettonia.
Il presepe rappresenta la natività con Gesù Bambino posto in una stalla. Al suo fianco ci sono la Madonna e S. Giuseppe mentre dietro il bue e l’asino che con il loro alito lo riscaldano. Fanno da contorno i tre magi guidati dalla stella polare e vari visitatori (soprattutto pastori). La sua prima realizzazione avvenne nel 1223 per opera di S. Francesco d’Assisi mentre il suo uso familiare iniziò a diffondersi nella seconda metà del XVIII secolo.
Babbo Natale, a sua volta è un personaggio di pura fantasia inventato nel 1931 dal grafico pubblicitario americano Haddon H. Sundbolm, per conto della Coca Cola. E’ caratterizzato da un vecchio con l’immagine paciosa e rubiconda, una folta barba e si sposta su una slitta trainata da renne. Il suo vestito è costituito da un abito rosso bardato con una pelliccia bianca e sulla testa porta un cappuccio a punta.
TRADIZIONI DI LAMA DEI PELIGNI: IL PASSATO
Quando iniziò a essere festeggiato il Natale dalle popolazioni del luogo? Purtroppo a questa domanda è impossibile rispondere. Tuttavia con certezza si può affermare che fosse festeggiato nel XI-XII secolo. Infatti, un calendario liturgico della diocesi teatina dell’’epoca cita tra le feste religiose quella natalizia (Balducci 1929) e di conseguenza si può pensare che si festeggiava anche nelle chiese lamesi allora esistenti. Nei secoli successivi in tutte le chiese e parrocchie della diocesi teatina la ricorrenza natalizia acquisì più importanza e si legò a varie consuetudini. Ciò avvenne anche a Lama, come dimostrano i dati ricavati dai vari testi a stampa e documenti manoscritti consultati e che in seguito saranno citati.
Un documento aragonese del 1468 dimostra che la tassa sul “focatico”, cioè sulla famiglia, che si corrispose a Lama fu suddivisa in tre rate quadrimestrali che scadevano durante il mese di agosto, la festività natalizia e la ricorrenza pasquale: “Intrata della nuova indittione de lanno presente prime indictionis: Lama contene duc. LXXV per li dicti dui terzi de Natale et de Pasqua. Et per lo terzo de augusto a rasione de coronati duc. XXII, tar. III, gr. XIII che in tutto monta duc. LXIII gr. VI 2/3 de carlini li quali sono stati receputi” (2).
Vari atti notarili rogati nel periodo che va dal XV al XX secolo hanno confermato la consuetudine emersa nel documento aragonese di utilizzare certe ricorrenze religiose coincidenti spesso con la fine del raccolto per corrispondere canoni e tributi. Di solito si sceglieva il Natale per il pagamento dei canoni in olio poichè cadeva a conclusione della raccolta dell’ulivo.
Nel XVIII secolo a Lama il 25 dicembre era anche il termine di scadenza per il pagamento di canoni su beni immobiliari. Una sua prova è fornita da un atto notarile del 15 ottobre 1725 in cui si fa presente che un residente del luogo promise al procuratore di una confraternita di restituire il capitale di dieci ducati entro cinque anni, corrispondendo venti carlini il giorno di Natale di ogni anno, sino alla completa estinzione del debito.
Nel 1708 l’arciprete di San Pietro e il parroco di San Nicola raggiunsero un accordo in cui si convenne a chi competeva la celebrazione in paese del Natale e altre feste religiose.
NL 1771 il clero e i rappresentanti dell’Università della Lama, un’istituzione borbonica che fu soppressa durante il decennio napoleonico (1806-1815) e sostituita dai Comuni attuali, scrissero al pontefice una lettera in cui chiedevano la concessione dell’indulgenza plenaria a chi visitava la chiesa parrocchiale dalla Vigilia di Natale al 31 dicembre. Il testo della lettera, di una certa importanza storico-etnografica poiché attesta che in occasione delle festività natalizie si organizzavano un Ottavario di preghiere e altri riti religiosi è il seguente: “B.mo Padre. Celebrandosi un solenne Ottavario in onore della SS.ma Nascita di Gesù N.ro Redentore con grande divoz.ne, e concorso nella Parrocchiale Chiesa Madre sotto il titolo di S. Nicolò Vescovo di Mira della terra della Lama Theat.nae Dioc.s in Regno di Napoli. Dal Clero ed Università della med.ma si supp.ca umil.te la Somma Clemenza della S.V. degnarsi concedere l’indulgenza plenaria pro unica vice a tutti i fedeli dell’uno e dell’altro sesso, che confessati, e comunicati anderanno a visitare detta Parro.le Chiesa a loro elez.ne dal giorno della Vigilia del SS.mo Natale del Sig.re fino al festivo giorno di S. Silvestro papa ultimo mese di dicembre 1771: che si termina col solenne Te Deum, Esposiz.ne, e benediz.ne del SS.mo Sacramento, e tal singolar grazia degnarsi dispensarla pro vivis, et defunctis per semplice suo benigno rescritto in forma consueta” (3).
Nel 1793, tra le uscite del bilancio della cappella del Santissimo Sacramento che fu presentato al Tribunale Misto di Napoli al fine di essere approvato, c’era la seguente voce che rivela una particolare consuetudine esistente nel periodo natalizio dell’epoca: “Esito d’olio per mantenere accesa per tutto l’anno la lampada davanti all’altare del S.mo Sacramento e per l’illuminazione del S. Natale: carlini 35” (4).
A Lama durante il Natale del 1859, a cura della parrocchia di S. Nicola furono elargiti vari doni a diversi poveri locali.
Nel 1915 il parroco Don Silvio Sacchetti stipulò un contratto con il sacrestano in cui si prescriveva che le questue effettuate nella chiesa parrocchiale durante alcune festività tra cui il Natale, andassero a beneficio del sacrestano stesso. In un racconto autobiografico Tancredi Madonna (1993) ricorda che nello stesso anno: nella chiesa parrocchiale si allestì il presepe, la parola “Natale” l’aveva sentita ripetere diversi mesi e nella sua famiglia ogni decisione, cambiamento, divertimento e acquisto aveva come punto di riferimento tale festa.
In un volume autobiografico Caprara (1994) racconta una sua testimonianza sul Natale vissuta tra la fine degli anni 20 e l’inizio degli anni 30 del secolo scorso: “ Si avvicinava il Natale tutti arrotolati vicino al fuoco. Mi ricordo di mio nonno Panfilo che raccontava sempre delle sue…Le donne specialmente nei dintorni del Natale si riunivano e giocavano a tombola. Io durante le giornate, con gl’amici si stava in stalla a giocare a bottoni, oppure se si aveva qualche centesimo, si giocava a soldi…Si aspettava con ansia le feste natalizie (5).
Nel 1934 il podestà di Lama deliberò di utilizzare la somma di 400 Lire per acquistare generi alimentari e altri beni con cui confezionare pacchi natalizi da donare ad alcune famiglie locali bisognose e con propri membri disoccupati.
Dall’anteguerra (forse anche in un passato più lontano) sino ad alcuni decenni fa, attorno all’8 dicembre arrivavano in paese gli zampognari per ricordare che la festa di Natale sarebbe stata imminente e con essa la necessità di esprimere la solidarietà e la carità verso chi tende la mano o comunque dimostra di avere bisogno degli altri. In cambio delle loro semplici esibizioni ottenevano uova, piccola moneta corrente, grano e altro.
Dalla seconda metà degli anni 50 del secolo scorso iniziò a diffondersi l’albero natalizio che nei primi si realizzava con pini e ginepri che sono spontanei della zona e si addobbava con aranci, mandarini, fichi secchi e noci.
Durante la festività molti emigranti tornavano in paese per rivedere i propri cari tra cui le mogli che in passato non seguivano i mariti ma restavano nella terra d’origine per occuparsi della casa, dell’educazione dei figli, di qualche piccolo terreno o orto, etc. Nello stesso periodo: qualcuno uccideva il maiale comprato in primavera; qualche famiglia con i pochi risparmi, acquistava per i propri figli indumenti nuovi o piccoli regali. Una guardia municipale che aveva sequestrato una palla a un gruppo di ragazzi che giocava in piazza disse che l’avrebbe restituita a Natale.
In occasione del Natale, i contadini e mezzadri locali donavano ai proprietari delle terre da loro coltivate e alle famiglie benestanti con cui avevano rapporti di comparatico o di grande amicizia, un grosso cesto detto nel gergo locale “lu stare” in cui si di solito si ponevano bottiglie d’olio o vino, insaccati, frutta secca o di stagione, dolci, uova e altro.
Durante le serate del tempo natalizio familiari e amici intimi si riunivano in un’abitazione per partecipare a giochi comuni tra cui la tombola e in questo caso accompagnavano ogni estrazione numerica con commenti di varia natura che contribuivano a rallegrare l’ambiente: 17 la disgrazia, 33 gli anni di Cristo, 50 la gallina canta, 77 le gambe delle donne, 90 la paura, ecc. Un’altra consuetudine abbastanza diffusa era di trascorrere le serate in qualche stalla ove si era riscaldati dal calore animale o presso il focolare domestico in cui, in entrambi i casi, le persone anziane raccontavano leggende, vicende di vita e storie attinenti a un passato molto lontano. Nei racconti natalizi non mancavano le favole tra cui La Piccola Fiammiferaia, Cappuccetto Rosso, Peter Pan, Pinocchio, Bertoldo e altre con una propria morale e articolazione narrativa che contribuivano a far acquisire ai bambini insegnamenti utili per la vita comunitaria e la capacità di distinguere il bene dal male.
Una testimonianza riguardante il Natale del passato afferma: ” Il Natale della mia infanzia era vissuto in una famiglia numerosa, ma molto unita. Mia madre faceva i fritti con le patate e quelli con il baccalà e quelli con i ceci. Come regali dai parenti e amici arrivava lo “staro” una grande cesta rotonda piena di alimenti fatti in casa: i taralli, le pizzelle; poi mandarini e noci e l’immancabile tacchino. Era un Natale più semplice e più genuino”.
Durante il periodo in esame le massaie preparavano vari dolci rituali utilizzati tuttora: sfogliatelle, fritti, taralli e “calciunitte”. Le sfogliatelle consistono in pasta sfoglia all’esterno zuccherata e all’interno ripiene con mosto cotto, marmellata, biscotti secchi, cioccolato e noci tritate. Il loro uso prima circoscritto a poche famiglie, dopo gli anni 60 si generalizzò a tutto il paese. I taralli sono dei dolci assimilabili a grossi tortellini, ripieni con gli stessi ingredienti delle sfogliatelle. I fritti, a loro volta, consistono in pasta fritta con olio e sale, mentre i calciunitte sono dei dolci costituiti da pasta ripiena con uova e formaggio di mucca. Qualcuno prepara altri particolari dolci non molto diffusi che sono costituiti da un impasto di ceci che nel gergo locale sono chiamati “le fritte nche le cice” (i fritti con i ceci).
Al Natale anche a Lama dei Peligni si è accompagnata la produzione di detti proverbi, filastrocche e canti tipici. Il seguente proverbio in gergo dal significato abbastanza chiaro, aiuta a ricordare le condizioni meteorologiche che di solito accompagnano le festività pasquali e natalizie “Pasqua a lu sole, Natale a lu tizzone” (Pasqua al sole, Natale al tizzone).
Un proverbio a diffusione nazionale ricorda che le festività natalizie vanno trascorse nell’intimità familiare mentre quelle pasquali con chiunque: “Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi”.
In un altro proverbio in gergo si contano le giornate che devono passare dalla scadenza di alcune feste religiose al 25 dicembre: “Sante Nicole, Natale a 19 / Santa Cuncette, Natale a 17; Santa Lucije, Natale a 13; Sante Tummasse, Natale a 4 passe” (6).
Un detto locale afferma: “Natale vè na volte all’anne” (Natale viene una volta l’anno), per ricordare che i momenti felici, il benessere e l’abbondanza sono rari e non bisogna lasciarseli scappare.
La seguente filastrocca per bambini, nella sua intima semplicità e ingenuità evidenzia che l’arrivo del Natale rendeva felici anche gli animali domestici: “Chicchiricchi è nate Ddjj / Aresponne lu vove: addove? / Dice la pecurelle m’beeh a Béttelémme. / Dice l’asene: aahh jamme. / Mbeeh a vedè / uuhh Giesù” (7).
Una seconda filastrocca è composta dalle seguenti strofe: “Mo’ ve’ Natale / nne tienghe denare / m’appicce la pipe / e me vaije a curecà!” (8).
La filastrocca che segue, invece, s’insegnava ai bambini che frequentavano l’asilo infantile durante il ventennio fascista: La notte di Natale è nato un bel bambino / tutto rosso, bianco e ricciolino. / Maria lavava / Giuseppe stendeva / Il bimbo piangeva / dal freddo che aveva. /
Stai zitto mio figlio / adesso ti piglio. / latte te l’ho dato / di pane non c’è n’é. / La neve cadeva / arriva giù dal cielo / Maria col suo velo / per coprire Gesù”.
Le sue strofe sono caratterizzate dai seguenti riferimenti legati alla cultura locale:
- “la neve cadeva”, un fatto difficile da osservare a Betlemme ma comune nell’inverno lamese;
- l’espressione «bianco, rosso e ricciolino» che si usa tuttora per indicare un bambino in salute;
- la strofa «di pane non c’è n’è» che fa riferimenti alle difficili condizioni economiche della gran parte della popolazione dell’epoca che viveva di agricoltura di sussistenza.
Per perpetuare il ricordo di nove mesi passati dal Figlio di Dio nel ventre di Maria e per prepararsi alla festività, ancora oggi, i fedeli partecipano a una novena natalizia che si organizza nella chiesa parrocchiale dal 15-16 dicembre sino al giorno della Vigilia. Come si può osservare dal testo che segue essa consisteva in un inno di lode alla Madonna poiché concepì Gesù Bambino:
“Sia per mille ed infinite volte benedetto il vostro purissimo ventre o Maria sempre Vergine in cui per nove mesi dimorò il figliuolo di Dio fatto uomo per salvare l’anima mia. Ave Maria […].
Sia per mille ed infinite volte benedetto il vostro castissimo seno o Maria sempre Vergine, in cui riposò, dormi ed amorosamente si ricreò il figliuolo di Dio fatto uomo per salvare l’anima mia. Ave Maria […].
Siano per mille ed infinite volte benedette le vostre braccia, o Maria sempre Vergine, che portarono, abbracciarono ed amorosamente strinsero il figliuolo di Dio fatto uomo per salvare l’anima mia. Ave Maria […].
Siano per mille ed infinite volte benedette le vostre mani, o Maria sempre Vergine, che toccarono, accarezzarono e servirono il Figliuolo di Dio fatto uomo per salvare l’anima mia. Ave Maria […].
Siano per mille ed infinite volte benedette le vostre orecchie, o Maria sempre Vergine, che udirono chiamarvi madre col Figliuolo di Dio fatto uomo per salvare l’anima mia. Ave Maria […]” (9).
Circa 55-60 anni fa la partecipazione alla novena era arricchita da ragazzi di età varia che insieme agli adulti recitavano preci e canti. L’allora parroco, in anni in cui le prime televisioni facevano la comparsa in paese, per indurre i bambini e adolescenti a frequentare le funzioni religiose prometteva di far vedere la “Tv dei ragazzi” con le mitiche gesta dei loro eroi preferiti: Rin Tin Tin, Lassie, Ivanoe, Lancillotto, Paperino, Topolino, etc. Essi, in mancanza di altre fonti di giochi che non fossero quelli della strada e per non perdersi le scene dei loro beniamini, si recavano con entusiasmo prima nell’abitazione del parroco per seguire i programmi televisivi e poi in chiesa per partecipare alle funzioni religiose. Qualche giorno prima del 25 dicembre, c’era una consuetudine che persiste tuttora, consistente nel recarsi in cimitero senza essere accompagnati dai bambini con l’età inferiore a 10 anni.
L’antivigilia di Natale per tutti gli studenti segnava e segna ancora l’inizio delle vacanze scolastiche che terminano il 6 gennaio e formano una strana coincidenza con il periodo della festa dei Saturnali dell’antica Roma.
La novena, i dolci preparati dalle massaie, le visite ai cimiteri, i ritorni dei lavoratori emigrati, l’arrivo degli zampognari e l’inizio delle vacanze scolastiche erano i preludi alle festività natalizie. Dal 24 al 26 dicembre nella comunità lamese c’era un avvicendarsi di tradizioni tipiche che saranno analizzate e descritte.
La vigilia natalizia terminavano le calende di S. Lucia con cui si cercava di prevedere l’andamento mensile delle condizioni meteorologiche. In questo caso dal 13 dicembre in poi a ogni giorno che passava si associava un mese dell’anno e, nel rispetto del detto: “Juorne chiare mese scure” (giorno chiaro mese scuro) si prevedeva che le condizioni meteorologiche sarebbero state opposte a quelle del giorno d’osservazione.
Il 24 dicembre nel focolare domestico si accendeva “lu ticchie“, un grosso ceppo che doveva ardere ininterrottamente sino all’Epifania al fine di riscaldare Gesù Bambino appena nato e i panni con cui la Madonna lo copriva. Le sue ceneri si disperdevano nei terreni coltivati per propiziare un buon raccolto. Qualcuno durante la giornata osservava il digiuno. Durante la serata, a fini purificatori esisteva la consuetudine abbastanza generalizzata di preparare un pranzo tipico a base di magro costituito da: baccalà, verdura cotta, ceci e frittelle con le patate. Tancredi Madonna (1993) in un racconto autobiografico riferisce che nel 1915 a Lama sua madre la sera del 24 dicembre preparò il cenone delle “nove cose”, un pranzo tipico, all’epoca diffuso anche in altre località abruzzesi, che era costituito da: verdura lessa, spaghetti con alici, baccalà lesso, baccalà al sugo rosso, baccalà arrosto, tonno, anguilla, capitone, vino, frutta di stagione (arance) e dolci locali tra cui le “pizzelle”.
Nella tarda serata del 24 dicembre, attorno alle ore 23 circa, nella chiesa parrocchiale di S. Nicola si officiava e si officia tuttora, la messa di mezzanotte che è sempre molto frequentata anche da individui che pur dichiarandosi cattolici non partecipano assiduamente alle funzioni religiose. Quando in paese c’erano più sacerdoti, la funzione sacra si officiava anche in altre chiese locali adibite al culto. Durante la funzione sino al 6 gennaio, nella chiesa parrocchiale si esponeva la sacra effige di Gesù Bambino, consistente in una statuetta di cera portata in paese nel 1760 da un francescano di ritorno dalla Terra Santa. Nella stessa occasione, in una cavità simile a una grotta che era posta all’interno della chiesa del convento dei frati minori, dopo la messa di mezzanotte si toglieva un telo e si mostrava ai fedeli un presepe che sino a circa 50-60 anni fa era uno dei pochi a essere visibile nel paese. I primi presepi delle abitazioni private si realizzavano spesso con figuranti e oggetti costruiti artigianalmente, carta colorata, specchi rotti, materiale di riuso e muschio raccolto in natura. ll paesaggio della Natività che rappresentavano nasceva ispirandosi al territorio locale caratterizzato da colline, il massiccio della Majella, il fiume Aventino, le case rurali sparse, i pastori, gli zampognari e altri personaggi impegnati in attività tipiche del luogo.
Le famiglie che per vari motivi non partecipavano alla messa riservandosi di recarsi in chiesa il giorno successivo, di solito si riunivano attorno al focolare, accendevano lumi a olio o candele per mancanza della luce elettrica e in religiosa attesa aspettavano che il suono delle campane annunciasse l’arrivo del Natale.
L’immaginario popolare locale del passato considerava magica la notte tra il 24 e il 25 dicembre, riteneva che nel suo corso si verificassero eventi straordinari e fosse possibile prevedere le condizioni meteorologiche e l’esito del raccolto agricolo nei mesi futuri. Per fare i pronostici si toglievano dal focolare brace e cenere e vi si gettavano dodici piccoli ceppi di legno detti “ciocchi” che rappresentavano i dodici mesi dell’anno. Se essi bruciavano allora, si pronosticava una pessima annata agricola e un raccolto insufficiente. In caso contrario si presagiva un buon raccolto. Altri presagi si effettuavano osservando le fiamme del “ticchio”: se andavano diritte verso l’alto, le condizioni meteorologiche sarebbero state favorevoli.
Un evento straordinario della notte della vigilia natalizia era rappresentato dalla trasformazione in streghe e lupi mannari di tutti gli individui che nascevano in tale occasione. In base a un’altra credenza locale, invece, chi nasceva in tale notte, dopo la morte avrebbe conservato intatto il corpo per tutta l’eternità. Secondo antiche credenze locali i lupi mannari durante le notti di luna piena si potevano osservare nelle vasche di una fontana pubblica posta all’ingresso del paese che segnava il confine tra il centro abitato e il regno del non umano popolato da anime errabonde. Un’altra credenza magica diffusa a Lama sosteneva che durante la notte della vigilia di Natale gli animali domestici presenti nelle stalle parlavano tra loro rivelando le loro inquietudini.
Alla vigilia segue il Natale vero e proprio caratterizzato anch’esso da tradizioni specifiche.
La mattina del 25 dicembre qualche genitore diceva ai propri figli che Gesù Bambino aveva portato in regalo qualche soldino, i bambini facevano e fanno tuttora visita ai propri parenti per fare gli auguri e ottenere una mancia in denaro o generici regali che nel passato consistevano in giocattoli costruiti artigianalmente, piccoli strumenti musicali (armoniche a bocca, pifferi e altro), arance, noci, frutta secca e dolci simboli propiziatori di abbondanza alimentare. Gli adulti, invece, incontrandosi si scambiavano gli auguri propiziatori di pace e benessere. La popolazione locale seguiva le funzioni religiose della giornata che erano sempre molto frequentate. All’ora di pranzo tutti a casa per partecipare a un banchetto comunitario allargato ad amici e parenti che sino ad alcuni decenni fa era essenzialmente composto da piatti locali o generalmente abruzzesi: brodo di gallina o d’oca, spaghetti alla chitarra, tagliolini in brodo, carne ai ferri (tacchino, agnello o salsicce), verdura, frutta secca, castagne lesse, dolci locali tipici e vino. Tancredi Madonna riferisce che il pranzo natalizio cui partecipò durante la sua infanzia, circa 100 anni fa era costituito da: tagliolini in brodo, maccheroni alla chitarra, tacchino con insalata mista, salsicce ai ferri, sfogliatelle, mandorle atterrate e vino frizzante (10).
In tale occasione, di solito i bambini che frequentavano le scuole elementari ponevano sotto il piatto del padre una lettera che avevano scritto con l’aiuto delle loro maestre e poi le leggevano. Nelle lettere i bambini in genere ringraziavano i genitori e promettevano di essere più ubbidienti, rispettosi, buoni, studiosi, ecc. Dopo la lettura, i commensali presenti facevano regali consistenti in denaro, giocattoli e altro. Il pomeriggio si passava generalmente giocando a tombola e spesso i bambini si trovavano tra loro, raccontando come avevano vissuto la giornata e i regali ricevuti.
Sino a circa un decennio fa, il Natale a Lama dei Peligni era vissuto in modo tipico e particolare poiché in tale giorno iniziavano i festeggiamenti in onore di Santa Barbara. La festa fu voluta dagli uomini del paese che nell’immediato dopoguerra partivano per trovare lavoro nelle miniere e durante le vacanze natalizie facevano ritorno in paese. La sera del 25 dicembre, la statua della santa, accompagnata da una banda e il brillamento di fuochi d’artificio si portava in processione da una chiesa secondaria ove era conservata sino a quella parrocchiale.
Il giorno successivo è caratterizzato da altre tradizioni tipiche. Durante la mattinata una banda porta un po’ di allegria tra le vie del paese suonando allegre canzoni e marcette tradizionali. Dal 1955, in serata, in piazza del Municipio s’incendia la “pupa“, un grosso manichino di cartone imbottito di petardi, mortaretti, bengala e altri fuochi d’artificio. Al suo interno un uomo, accompagnato dalla banda, si muove a passo di danza finché tutto il materiale pirotecnico non si esaurisce. Sulla testa del manichino è posta una ruota detta “girella” in cui sono posti vari bengala che brillando in successione la fanno ruotare e alimentano il divertimento popolare. La folla che assiste tra i vari scoppi e una movenza e l’altra, ride godendosi la scena.
Le tradizioni natalizie dell’attualità.
La forte emigrazione che ha caratterizzato il Comune ha ridotto la popolazione da 3900 abitanti del 1921 a 2900 nel 1951 e a circa 1200 attuali. La maggior parte dei suoi abitanti sino alla fine degli anni 50 del secolo scorso viveva d’agricoltura e in qualche caso anche di pastorizia. Poi l’emigrazione e altri fattori hanno portato all’abbandono della terra e a sconvolgimenti socio-economici che hanno inciso sul tessuto culturale modificando modelli, valori, atteggiamenti, comportamenti e credenze con radici secolari tra cui anche alcune natalizie.
Da diversi decenni sono diminuiti i lavoratori emigranti che tornano in paese durante il periodo natalizio e il loro posto in parte è stato preso dagli insegnanti e studenti che vivono nei Comuni ove hanno sede le istituzioni scolastiche o universitarie in cui lavorano o studiano.
Ora: si sono dimenticate antiche consuetudini che servivano per prevedere le condizioni meteorologiche, il futuro personale, familiare e del raccolto; nessuno crede alla trasformazione degli uomini in lupi o streghe e al fatto che gli animali durante la notte della vigilia parlano; non si accende il ceppo natalizio poichè in molte case moderne il camino è sostituito dai nuovi impianti termici e se presente non si usa per riscaldare ma a fini decorativi ed estetici; i preludi delle festività natalizie non sono costituiti dagli zampognari che arrivavano in paese ma dai messaggi pubblicitari, i caroselli televisivi, le attività didattiche realizzate a scuola, l’albero di Natale che il Comune allestisce in piazza del Municipio, gli spettacoli teatrali o cinematografici e le iniziative culturali delle associazioni locali.
Il tempo natalizio attuale, a causa dell’influenza dei mezzi di comunicazione di massa, si può dire che inizia a metà novembre con le vetrine dei negozi che espongono le luminarie e gli oggetti da regalare a figli, parenti e amici. I mass media attraverso i messaggi pubblicitari , la riproposizione di filmati d’animazione, gli inviti a trascorrere le feste in mitici luoghi di vacanza, e altro, alimentano l’idea che questa ricorrenza è l’aspetto di una favola cui indirettamente contribuisce la nascita del figlio di Dio e l’aspirazione a vivere un sogno e un ideale paese di Cuccagna.
Nelle scuole elementare e media inferiore, dal mese di novembre si realizzano attività didattiche generalmente centrate su: la comprensione del messaggio natalizio, la lettura di fiabe classiche del periodo (Cenerentola, la piccola fiammiferaia, Peter Pan, Biancaneve e i sette nani, etc.), ricerche sulle tradizioni del periodo, preparazione di recite, allestimenti di presepi, creazione di addobbi e luminarie con materiali di riciclo (plastica, bottiglie di vetro e carta). Ora, anche a Lama dei Peligni: è abbastanza generalizzato l’uso di allestire in ogni abitazione il presepe e l’albero natalizio; si prepara con continuità il presepe nella chiesa parrocchiale; si è conservata la tradizione del pranzo nel quale il maggior benessere e i mezzi di comunicazione di massa hanno contribuito a introdurvi prodotti di più largo consumo commerciale quali vini d’importazione, il panettone, il pandoro e lo spumante; si frequentano i mercatini di Natale organizzati in Comuni vicini; si partecipa a gite e viaggi organizzati; si assiste a concerti e spettacoli. In generale si può dire che prevale l’invito all’ostentazione, al benessere e alla guduria un po’ come avveniva con le feste pagane dei Baccanali e dei Saturnali mentre il messaggio religioso passa quasi in secondo piano. In questo modo moderno di vivere il Natale, si sono conservate le abitudini del passato di trascorrerlo con amici e parenti, scambiarsi doni e regali e di scongiurare il negativo dimenticando per qualche giorno i problemi della quotidianità.
I moderni alberi di Natale che le famiglie allestiscono nelle proprie abitazioni non sono fatti con ginepro ma con abete e piante artificiali. Su di essi non si appendono più aranci, mandarini e altro del passato ma si seguono gli stereotipi attuali e quindi sono caratterizzati da: luci che si accendono a intermittenza, regali impacchettati, dolciumi, palline e strisce colorate, neve artificiale, stelle realizzate con materiale vario, impianti che diffondono musiche e canzoni, etc. Ad avviso di Antonio Del Pizzo, un importante poeta locale, l’albero natalizio non ricorda Gesù Bambino; infatti, scrive: “Rame de pine / tu si l’allegrije / D’aneme e core de la fangiullezze ! / Pecchè si pijne de ghiuttunerije / ma de Gesù n’arpuorte la carezze” (12).
Lo splendore delle sue luci si contrappone alla luce fioca dei presepi che seppur realizzati con oggetti acquistati nei negozi continuano ad avere sempre gli stessi figuranti. Dal 1977 sino a qualche anno fa, in almeno una decina di occasioni a cura della Parrocchia, la Scuola Elementare, la Pro Loco e il concorso abbastanza allargato della popolazione sono stati organizzati presepi viventi a fini rievocativi, di riflessione e preghiera.
Agli inizi del nuovo millennio, la Pro Loco ha organizzato una specie di gara per la costruzione di presepi a cui hanno partecipato circa una ventina di famiglie. A tal proposito un membro della Pro Loco ha riferito quanto segue: “Non era una gara, non mi sarebbe parso giusto, ma solo un invito a realizzare il simbolo del Natale italiano. Alle famiglie, dopo la visita della Commissione che appuntava le caratteristiche del lavoro, veniva consegnato un attestato/diploma con i ringraziamenti dell’Associazione. I presepi erano molto diversi tra loro. Si passava dalla tradizione più classica al modernismo più avanzato. Dai cammelli classici ai modellini della autovetture (non so quanto c’entrassero i piccoli di casa, figli o nipoti). Qualcuno ricordava, grosso modo, il paesaggio lamese con montagna, boschi e campagne”.
Per oltre quaranta anni, sino al 2005-2006, il Prof. Lelio Cappella che voglio personalmente ricordare, allestiva un presepe che occupava la superficie di un’intera stanza. Esso aveva una certa importanza scenografica, lasciava immaginare come poteva essere il paesaggio di Betlemme all’epoca della natività ed era visitato dai ragazzi delle scuole elementari e da privati. Uno dei suoi figli che lo aiutava nella costruzione, ha riferito quanto segue: “Il presepe di mio padre si realizzava in una stanza di 12,5 mq ed occupava quasi tutta la sua superfice, lasciando libera solo una parte per il passaggio. Allo scopo si utilizzavano pezzi di legno, cassette e grossi massi per realizzare colline e rilievi, dove, in genere, si costruiva il paese di Betlemme, le sue strade, i suoi ponti (!), le stalle. IL tutto era coperto da muschio. Dopo la struttura di base, s’ingegnava con la realizzazione di grotte, anfratti, laghetti, strade, parti desertiche e tutto quello che la sua fantasia dettava utilizzando pietre dalle forme particolari. Su queste e con queste inseriva e creava ambienti montani, grotte, ricoveri per pastori, guglie montagnose, ponti naturali, passaggi arditi da roccia a roccia, un territorio quasi da film fantasy. La “posa” del pezzo di pietra o legno nel presepe non era semplice, perché mio padre li girava, rigirava, invertiva, cambiava posto, ripensava, insomma era un lavoro complesso e delicato. Poi, realizzava lui le linee elettriche per illuminare il presepe da tanti punti di vista e a tal scopo utilizzava varie lampadine che dipingeva con colori diversi a seconda di come voleva illuminare la grotta o i particolari. Le abitazioni le realizzava con scatole di scarpe, di bomboniere (che metteva da parte!) o con pezzi di cartone grezzo in cui si vedevano le scanalature. Alla fine, se era soddisfatto del suo lavoro, ci chiedeva di inserire le statuine di cui alcune antichissime che aveva portato dal suo Comune di origine. Questo lavoro di preparazione ci impegnava per circa 15 giorni. Mio padre era molto contento quando gli facevano i complimenti per il suo presepe e, soprattutto, quando qualche maestro/maestra portava la scolaresca a visitarlo. Illustrava i particolari, raccontava la difficoltà che s’incontrava nel costruirlo e invitava i bambini a mettere da parte l’albero di Natale e fare il presepe, apprezzando la sua bellezza tradizionale. Il nostro presepe si smontava all’inizio di febbraio poiché rispettava il calendario religioso che vede finire il periodo natalizio con il 2 di febbraio e la presentazione di Gesù al Tempio. Mio padre mi ha lasciato quest’eredità e io a Natale senza il presepe non ci so stare”.
Nel complesso i presepi contemporanei, nelle loro forme e colori, continuano a ispirarsi all’aspetto fisico del paesaggio locale come tra l’altro evidenziano la testimonianza precedentemente riportata e quella di un soggetto che ogni anno lo realizza nella propria abitazione: “Oltre a replicare le case rurali delle nostre parti, ho cercato di usare gli stessi materiali, pietre e pezzi di terracotta come mattoni o la pavimentazione. Inoltre ho replicato il selciato con pietre prese al fiume e per il tetto e qualche porta, il legno di masserie diroccate. L’unica cosa posticcia sono le tegole ottenute con pezzi di canna e non con la terracotta. Da notare: la presenza di neve e ghiaccio e le orme sulla neve, come spesso accade da noi ma non in Palestina; qualche particolare che allude a una simbologia, ad esempio la finestra chiusa con legni a croce e sette pecore poste nel presepe poiché tale numero ricorre spesso nella Bibbia”.
Nel territorio lamese ora non si osservano pastori con gli armenti, contadini che lavorano la terra, asini, buoi e tante case rurali sparse crollate a causa dell’abbandono. Di conseguenza i figuranti del presepe rappresentano un mondo che non esiste più, rimandano a tempi lontani e forse non hanno nulla in comune con il paesaggio di Betlemme nell’epoca in cui nacque il figlio di Dio.
Il giorno di Natale le persone devote che non hanno partecipato alla messa di mezzanotte, nella generalità dei casi si recano in chiesa per osservare il precetto festivo. Le funzioni religiose arricchite da canti e riti tipici sono ancora abbastanza frequentate. Tuttavia tale frequentazione non è un dato sufficiente a contraddire la moderna tendenza di vivere il tempo natalizio privilegiando gli elementi consumistici e di libertà dal tempo di lavoro anziché le istanze religiose.
Vari dolci del periodo, ora a Lama dei Peligni si consumano tutto l’anno e, hanno perso le funzioni rituali di mezzi utili per interrompere l’uniformità dell’alimentazione quotidiana e caratterizzare dal punto di vista alimentare le ricorrenze festive. A riguardo, Mario Amorosi in un suo componimento poetico scrive: “M’arecorde quand’ere quatrale / ca a Natale, la festa cchiù bbelle / lu taralle e la sfuijatelle / ere n’anne che le steve a aspettà. / Fine a la Befane c’erempieve la besacce / ma fenite la pacchie, m’armetteve aspettà. Mò’ invece unge juorne è ‘na feste / e a tempeste le dulce se trove / ma a l’anelese lu colesterole / saije troppe e la diete a da’ fa’. / Se ugne juorne ssi fatte Natale / bescuotte ‘ntegrale mò t’attocche a magnà’” (11).
Le persone continuano a essere animate da buoni auspici e si scambiano gli auguri. Tutto questo può sembrare una farsa ma almeno per qualche giorno è bello viverla.
Negli anni 90 del secolo scorso, durante la serata della vigilia di Natale si è organizzata una processione di bambini vestiti come le figure tipiche dei presepi. Essi dopo l’arrivo nella chiesa parrocchiale hanno affisso sulle pareti dei disegni realizzati da loro stessi che riguardavano scene e simboli natalizi. Mario Amorosi, su tale manifestazione, con una comunicazione personale ha fornito la seguente testimonianza: “Ci si ritrovava davanti alla chiesa di San Pietro, per dare inizio a quella che era una specie di presepe vivente ante litteram, era quella che noi chiamavamo: “la sfilata”. C’erano i pastorelli, gli angioletti, i fraticelli e non so cosa centrassero anche i paggetti, qualche anno addirittura anche gli zampognari che creavano un’atmosfera natalizia eccezionale con le loro zampogne. Ovviamente c’era chi interpretava il ruolo di San Giuseppe e la Madonna. “Poverina” chi aveva l’onore di recitare il ruolo di Maria, doveva montare sull’asinello, e non certamente a cavalcioni, inoltre doveva nascondere in grembo il Bambinello di ceramica, poi per di più nel tratto più ripido della salita che porta al Convento, l’asino con i zoccoli ferrati incominciava pure a scivolare, tra le risate di noi ragazzini, che esclamavamo: “Mò sbande l’uasene!” Normalmente poi si svolgeva la Messa di mezzanotte, e per noi bambini restare svegli era un’impresa”.
Da oltre cinquanta anni l’Amministrazione comunale, con un grosso abete allestisce l’albero di Natale in Piazza del Municipio. In epoche più recenti, fa affiggere manifesti d’auguri per la popolazione e patrocina vari tipi di spettacoli e attività culturali organizzati dalla Pro Loco e altre associazioni locali.
Nel 2015 il programma natalizio è iniziato l’8 dicembre con l’allestimento dell’albero e un brindisi. In seguito è continuato con spettacoli teatrali, giornate augurali fatte con gli alunni delle scuole elementari e medie, il ballo della Pupa e una serata di beneficienza.
Nel moderno Natale lamese compare anche la figura di Babbo Natale che ha quasi soppiantato quella della Befana, dispensa regali molto costosi e anche localmente, nelle abitazioni private è rappresentato da un bambolotto di pelouche che qualcuno tiene appeso all’albero o in mostra in qualche stanza. Dal 2015 ha fatto la sua apparizione una persona del luogo travestita da Babbo Natale nei suoi canoni classici e un asino chiamato Tarí che traina un carretto con sacchi contenenti vari dolciumi da offrire alle persone che assistono al suo arrivo. L’Amministrazione Comunale lo ha sponsorizzato fornendogli un supporto finanziario utile per acquistare i doni.
Nel 2016 il programma natalizio è iniziato ancora con l’allestimento dell’albero l’8 dicembre ed è continuato con varie iniziative durante più giorni della settimana. Rispetto all’anno precedente si sono aggiunti: la proiezione di un film, l’esibizione del coro parrocchiale, laboratori e spettacoli di Natale con gli alunni delle scuole. Nel 2017 si è aggiunto un concerto natalizio in chiesa da parte degli alunni delle scuole dell’obbligo. Inoltre all’allegra compagnia di Babbo Natale e di Tarí si è aggiunta una pecorella di nome Froilen che ha catturato l’attenzione dei presenti, ha contribuito a ricordare l’importanza degli ovini nel modo di vivere delle famiglie locali sino ad alcuni decenni fa e ha dimostrato che questo simpatico animale può essere anche motivo d’attrazione e spettacolo.
Ora non ci sono minatori che tornano in paese e la processione con la statua di Santa Barbara è stata spostata dal 25 al 26 dicembre. In detto giorno continua a organizzarsi il ballo della pupa. Da qualche decennio la giornata festiva del 26 dicembre termina con una serata di beneficenza che prevede la raccolta fondi per Telethon.
Da diversi anni si utilizza la rete per comunicare sensazioni, scambiare auguri e pubblicare opinioni, fotografie e filmati riguardanti gli avvenimenti natalizi del paese. In tal senso la fanno da padrone vari siti di facebook tra i quali uno denominato “Sei di Lama se”, attivato nel 2014 che agli inizi di ottobre del 2019 contava 1273 iscritti, un numero superiore ai residenti nel Comune. In tale sito si esprime la natura campanilistica del paese e si creano caratteristici meccanismi identitari basati sulla nostalgia, la condivisione di ricordi, immagini, riflessioni personali, tradizioni e altro.
Alcune considerazioni
Le tradizioni riportate si offrono a varie considerazioni sia di tipo generale sia particolari legate al contesto socio-culturale del paese.
Innanzitutto è da premettere che la nascita del Figlio di Dio in una stalla si raccorda con il mondo agro-pastorale povero e diseredato e con tutti i ceti subalterni. Venendo al mondo tra contadini e pastori Gesù Cristo valorizzò le loro esistenze. Inoltre la sua presenza tra gli uomini esprime la reificazione di tutti i valori umani tra cui il rispetto del prossimo indifferentemente dal ceto o status d’appartenenza. Il fatto che fu riscaldato da un bue e un asinello, simboli di fatica e sopportazione, è un altro aspetto che contribuisce a legare la festa alla vecchia società contadina e alle speranze e attese degli individui che ne facevano parte. Ad alimentare quest’identificazione contribuiscono anche i presepi con i suoi paesaggi bucolici e i figuranti molto legati al mondo agro-pastorale del passato: pastori, donne intente a lavare i panni, pecore, galline e abitazioni rustiche.
La festa della nascita del Redentore, oltre ai suoi importanti significati religiosi, alimenta le speranze di una vita migliore, del riscatto sociale e due miti folklorici: il paese di Cuccagna in cui non esistono né servi né padroni e che è caratterizzato dal benessere, il piacere e l‘abbondanza alla portata di tutti; il ritorno all’Eden, il paradiso perduto ove tutti gli uomini sono uguali, sono felici e non esistono né peccati né peccatori.
Alle tradizioni natalizie si possono attribuire anche altri significati e spiegazioni. In particolare, le pratiche divinatorie, i doni, l’atmosfera festiva, gli auguri, i giochi, l’accensione del “ticchio“, i prodigi, le credenze magiche e i riti che rinsaldano i legami tra amici e parenti si possono considerare aspetti tipici di: un ritualismo solstiziale di antiche origini sopravvissuto nel tempo; un rovesciamento simbolico dei valori del cosmo e della sua rifondazione a cui tra l’altro contribuisce il Figlio di Dio che venendo al mondo libera l’uomo dal peccato originale, gli apre le porte del Paradiso e lo riscatta dalla dannazione eterna; il retaggio di antiche tradizioni presenti in molti credi religiosi secondo cui la nascita e apparizione di entità divine è sempre accompagnata da sconvolgimenti naturali, segni celesti, fenomeni prodigiosi e apparizione di figure soprannaturali.
Alla base di preparare durante il periodo natalizio cibi particolari e consumarli in maggiore quantità ci sono due componenti che si possono considerare tipici di tutte le feste religiose: la trasgressione e la volontà di manifestare la propria fede in forme simboliche. Poiché simboli di trasgressione alimentare l’abbondante cibaria modifica la monotonia della vita quotidiana. Poiché simboli di pratiche devozionali i cibi contribuiscono a ricordare il carattere religioso della festa e a invogliare i fedeli a compiere atti di pietà e fede cristiana.
La notte della vigilia, con le sue credenze magiche, le veglie presso il focolare domestico, i racconti, le fiabe, etc., era un’occasione importante per riaffermare e trasmettere valori comunitari. Secondo Gandolfi (2001) le credenze magico-rituali della notte di Natale sono la conseguenza della concezione della cultura tradizionale che tale momento è propizio per le manifestazioni dei fenomeni soprannaturali.
La credenza che gli animali parlano e l’accensione del “ticchio” potrebbero rappresentare un ricordo atavico della sacralità delle piante e degli animali intimamente legati alla vita dell’uomo. Il parlare degli animali durante la notte di Natale può avere un altro significato simbolico: essi parlano poiché si riscattano insieme a tutti gli uomini.
La credenza che i nati durante la notte della vigilia di Natale si trasformano in lupi mannari è un residuo di una religiosità primitiva sopravvissuta nel tempo. Secondo Van Gennep le leggende di trasformazione degli uomini in lupi mannari esprimono i punti di contatto tra la concezione antropomorfica e zoomorfica di formazione dell’universo (13).
L’offerta di doni ai bambini è una pratica propiziatoria e simbolo della volontà di rinnovamento poiché‚ per la loro natura sono essi stessi simboli di rinnovamento.
Ad avviso di Caramiello nel presepe “Un avvenimento, la nascita di Gesù, col carattere di centralità che assume, nell’ambito della vicenda storica dell’Occidente e del mondo, si produce in uno scenario umano, vorrei dire in un habitat fisico e sociale, di assoluta sobrietà, in un panorama antropologico fatto di situazioni tutt’altro che straordinarie, un paesaggio di gente semplice, umile, nel contesto di una elementare esistenza “comunitaria”, di una coralità societaria, che si manifesta, tipicamente, in tutte le forme più triviali e prevedibili della vita collettiva” (14). Poi continua: “Ed è proprio la cultura della vita, quella che vediamo manifestarsi, brulicante, sulla scena del presepe, la vita di ogni giorno: il cafone, la zingara, l’oste, il giocatore di carte, il pescivendolo. Il pastore della meraviglia, che sogna ad occhi aperti e Benino che, invece, chiude gli occhi, per accedere alla realtà in sogno. Ogni personaggio è preso da una possibile scena quotidiana, eppure con il suo peculiare rimando simbolico. Al pari degli “oggetti”: il pozzo, la fontana, il ponte, il mulino. Il presepe, si mostra come una fotografia atemporale di un passato che è presente, ma allo stesso tempo si immagina quale porta d’accesso per un’idea di futuro” (15). Ad avviso di Niola: “Disegnare e comporre il presepe è riscrivere, anno dopo anno, un mito di fondazione di una comunità utopica nel senso letterale del termine, poiché il luogo del presepe non è un’estensione materiale bensì un’architettura dell’istante messianico che riunisce in sé ogni tempo” (16).
La figura di Babbo Natale si può considerare una figura della religione laica che sacralizza i consumi e una specie di nonno aggiunto che vizia i propri nipotini. Secondo Cattabiani è il simbolo della festa del consumo con radici precristiane e il suo antecedente storico è il “Rex Saturnaliorum” di derivazione classica (17).
Levi Strauss a sua volta sostiene che “Babbo Natale è vestito di rosso scarlatto: è un re. La sua barba bianca, le sue pellicce e i suoi stivali, la slitta nella quale viaggia, evocano l’inverno. Lo si chiama “Babbo” ed è vecchio, quindi incarna la forma benevola dell’autorità. […]In realtà, questo essere soprannaturale e immutabile, fissato una volta per tutte nella sua forma […], è la divinità di una classe di età della nostra società, e la sola differenza tra Babbo Natale e una divinità è che gli adulti non credono in lui, sebbene incoraggino i bambini a crederci e alimentino tale credenza con molte mistificazioni” (18).
L’organizzazione comunista di Lotta continua, a sua volta, nel 1969 definì Babbo Natale uno strumento dei «padroni» per «sfruttare il proletariato»:
I doni natalizi nelle sue forme attuali hanno origine nel XIX secolo. Tuttavia anche nell’antichità esistevano tradizioni caratterizzate da scambi di doni in questo particolare periodo dell’anno. Infatti, nella Roma classica durante i Saturnali era previsto lo scambio di doni augurali. La loro offerta è anche una pratica propiziatoria sia per chi offre sia per chi riceve. I principali destinatari dei doni sono soprattutto i bambini, elementi di passaggio tra vita e morte e simboli di rinascita, rinnovamento e continuità familiare. Ai dolci invece va associato un significato propiziatorio poiché la dolcezza è simbolo di godimento e felicità.
Alla lenta combustione del “ticchio” natalizio si può associare simbolicamente l’idea che si consuma anche l’anno vecchio con gli aspetti negativi che l’hanno caratterizzato e ad avviso di Giancristofaro, la funzione purificatoria del fuoco (19). Gandolfi invece sostiene che il ticchio: “Rappresenta una sorte di testimone, una “sacra presenza” riferibile all’entità degli antenati incaricati di custodire l’unità e la prosperità dei discendenti e della famiglia che riunita nella cena della vigilia rinnova i suoi vincoli parentali” (20). Altri studiosi sostengono che la sua accensione aveva anche la funzione simbolica di aiutare il timido sole invernale a salire più velocemente sulla linea dell’orizzonte e contribuire a riscaldare la terra. Nelle moderne feste alcune sue funzioni si può dire che sono state assunte dalle luci che si appendono all’albero.
Nella comunità lamese del passato le festività natalizie cadevano in una fase di tregua dei lavori agricoli, dopo la raccolta dell’ulivo, le ultime semine e l’attesa per l’inizio dei primi lavori invernali e primaverili. Il rischio di un cattivo raccolto preoccupava i contadini ed essi cercavano di prevedere il futuro e scongiurare il negativo adottando le contromisure suggerite dalla loro cultura che in qualche modo attutivano l’angoscia del divenire. Da queste aspettative ed esigenze nasceva la volontà di attuare i rituali divinatori-propiziatori analizzati.
Le feste natalizie sono state sempre attese con viva trepidazione e generalmente il loro arrivo è stato salutato con gioia dagli adulti e bambini consapevoli che esse avrebbero portato un po’ di felicità e contribuito a rinnovare legami affettivi, familiari e sociali. Tuttavia, in un passato molto lontano per i braccianti e contadini locali che non godevano di una facile condizione esistenziale ed erano costretti a corrispondere canoni di affitto dei terreni e tributi proprio all’approssimarsi del 25 dicembre, l’arrivo della festività, in caso di annate con pessimi raccolti, forse non era salutato con molta gioia.
Il pranzo a base di magro della vigilia era il riflesso di una comunità dai morigerati consumi che coglieva le occasioni festive per fare trasgressioni alle consuetudini quotidiane e ha il significato purificatorio di prepararsi degnamente alla nascita del figlio di Dio. Il fatto che era composto di” nove cose si collega ai significati simbolici d’inizio-fine e rinascita rinnovamento che sono associati a tale numero.
Il pranzo di Natale, invece, con il ricco cerimoniale che l’accompagna, anche a Lama sia in passato sia nell’attualità, assomiglia a un banchetto rituale in cui: si preparano cibi considerati tradizionali, si consuma di più, si sta di più a tavola, si parla, si ride, si recitano preghiere e si scambiano doni. I vari alimenti che si utilizzano (carne, brodo, dolci, etc.) sono simboli di abbondanza alimentare e dunque anche il pranzo assume il significato propiziatorio di favorire l’abbondanza, il benessere e l’unità familiare.
Nell’imminenza delle festività, come visto molte persone si recano nei cimiteri per visitare i loro cari estinti a dimostrazione che con l’occasione si rinnovano i legami tra la vita e la morte. In diversi studi e ricerche si sottolinea che il periodo che va dal solstizio invernale a Capodanno è particolarmente propizio per la comunicazione tra vivi e defunti e inoltre si mette in correlazione il mondo dei morti con i bambini e i doni che ricevono. In tal senso i bambini non si portano nei cimiteri e a loro si offrono doni al fine di esorcizzare la morte.
Nel presepe si può dire che in passato la vecchia comunità lamese rappresentava se stessa, si sentiva più vicina al figlio di Dio e si proiettava nel mondo del sacro valorizzando i propri valori e modelli culturali. Nei presepi contemporanei si continua a umanizzare il divino e a utilizzare gli stessi figuranti del passato che però nella dimensione attuale si possono considerare elementi decorativo-celebrativi di un rituale che rappresenta un mondo lontano senza legami materiali con l’attualità. In un periodo in cui il paese si era svuotato a causa dell’emigrazione, è nata l’idea del presepe vivente quasi a voler sollecitare, come sostiene Cusimanno (2019), una nuova attenzione e una più radicata coscienza del luogo. Quest’innovazione ha favorito la coesione sociale e la riscoperta di valori identitari. Inoltre ha dimostrato che la comunità locale riplasma le proprie tradizioni abbandonando quelle meno funzionali al modo di essere nel presente.
Per la realizzazione dell’albero natalizio, a Lama dei Peligni, si utilizzavano inizialmente ginepri e pini e poi abeti veri o finti, ossia alberi sempreverdi che non perdono le foglie e simboleggiano la vita vegetale che durante l’inverno non si spegne. Di conseguenza si forma una coincidenza simbolica tra l’albero natalizio e Gesù Bambino che nasce poiché l’uno e l’altro sono simboli di vita e d‘immortalità.
Nelle tradizioni lamesi la figura di Babbo Natale si materializza con elementi della cultura locale che rafforzano lo spirito comunitario poiché: guida un carro che non è trainato da una renna ma da un asino, un animale che un tempo era molto utilizzato dai contadini lamesi e a cui, tra l’altro, è assegnato il nome di una cresta sovrastante il paese; scende nella piazza principale, simbolo dell’identità collettiva.
Il ballo della pupa dall’epoca della sua istituzione ad alcuni decenni fa, secondo Laudadio (2000) aveva un carattere liberatorio tendente a esorcizzare l’anno passato e manifestare la felicità dei minatori per essere tornati sani e salvi nella propria abitazione. Secondo qualche persona il ballo e la riuscita dei fuochi d’artificio invitavano all’ottimismo e a trarre auspici favorevoli per il nuovo anno. Ora, non essendoci più minatori che vogliono festeggiare il loro santo protettore, si può considerare un elemento tipico delle tradizioni natalizie lamesi e vi si può ravvisare la volontà della popolazione locale di rompere la quotidianità con una manifestazione di gioia effimera. Nelle località d’origine il ballo probabilmente poteva avere vari significati ed essere un aspetto di riti purificatori-propiziatori scardinati dal tempo. Un’ipotesi in tal senso è l’assimilazione della danza a una simbolica lotta dell’uomo con il fuoco al fine di controllare le forze della natura.
Anche a Lama dei Peligni, come ha fatto presente Bo, nella festa di Natale: “ il modulo della celebrazione religiosa è quasi del tutto scomparso, mentre emergono le domande di una libertà dal tempo del lavoro che si risolve nell’affannoso acquisto di beni di consumo offerti dal mercato festivo” (21).
Nell’analisi che si conduce è degno di nota e interesse la diffusione in rete di immagini, filmati, commenti e auguri sulle festività natalizie tramite il sito facebook “”Sei di Lama se”. Lia Giancristofaro rileva che “i social network (Facebook, Twitter, WhatsApp) creano una sorta di museografia spontanea ed interattiva tramite la quale emergono rappresentazioni, opinioni ed emozioni che, diversamente, resterebbero nel sommerso”. In accordo con Buttitta, invece, si può ammettere che con tutti i siti dal titolo “Sei di…: ” La bacheca di Facebook diventa un serbatoio di ricordi, suggestioni, foto spesso vintage e a volte molto malinconiche. Una condivisione della memoria che coinvolge tutti, non facendo distinzioni di età che attraversa ogni generazione” (22). Alle riflessioni di Buttita si può aggiungere che in generale essi: assomigliano a una “piazza parallela” che amplifica i dibattiti e le opinioni che di solito si manifestano nei luoghi d’incontro dei Comuni che rappresentano; estendono le relazioni individuali; fungono da cassa di risonanza per eventi in precedenza confinati solo negli spazi ove erano prodotti. Ciò che diffondono ha grandi effetti spettacolari e provoca le reazioni degli utenti suscitando in genere approvazione, gradimento e discussioni aperte. In particolare attraverso il sito “sei di Lama se”: aumentano gli spettatori che seguono i programmi festivi; si favorisce la promozione turistica del paese, si assiste alla delocalizzazione della cultura del luogo; gli emigranti e i loro discendenti rinsaldano le radici, riaccendono i ricordi personali e attuano un ritorno ideale nel luogo d’origine immaginato come la mitica città della memoria che ispira identità, valori e significati. Il sito in esame concorre anche a rendere evidente un nuovo tipo d’identità territoriale e culturale non più limitato e ristretto il cui elemento principale è l’affermazione della località nella globalità e può essere definita la glocalità o meglio ancora la lglobalità (Pezzetta 2018). Di conseguenza le tradizioni natalizie di Lama dei Peligni con la loro immissione in rete diventano un emblema della comunità locale proiettata nella realtà globale e, un prodotto del folklore “cibernetico” e del supermercato della cultura che si offre gratis a curiosi, ricercatori di vicende etnografiche e a chi sceglie i fatti religiosi più vicini ai propri gusti e interessi.
Conclusioni
A conclusione del presente lavoro si può dire che anche a Lama dei Peligni le tradizioni natalizie: sono entrate nella logica della società moderna con le sue forme di assimilazione globale e i suoi meccanismi di consumo; sono state sottoposte a un processo di rifunzionalizzazione a cui si sono accompagnati nuovi significati; rivelano un’accentuazione degli effetti spettacolari. Nell’ambito in esame ora: riconfermano i modelli del credo religioso dominante, consentono di evadere per qualche giorno dalla quotidianità, contribuiscono ad allentare le tensioni della vita contemporanea; continuano a celebrare l’unità familiare; rinnovano i vincoli sociali di parentela e amicizia; rinsaldano e riconfermano l’identità e il senso di appartenenza comunitaria. Nel Natale lamese contemporaneo, da una parte si osservano forme di omologazione culturale che tendono a renderlo simile ad altre località e vari aspetti che invece dimostrano la volontà di rivalutare e conservare tratti della cultura locale.
Ringraziamenti
Per le informazioni fornite si ringraziano: Amorosi Giovanni, Amorosi Mario, Annecchini Giustino, Ardente Giuseppe, Cappella Amedeo, Di Fabrizio Elisa, Fata Filippo, Laudadio Teresa, Marrone Giovanni, Piergiovanni Anna, Rosato Giovanna e Tabassi Giovanni.
Note:
(1) Miccoli G., “La vita religiosa nell’alto medioevo”, in Storia d’Italia, Ed. Einaudi, vol. III, pagg. 461.
(2) Mazzoleni J.: Fonti Aragonesi, vol. XI, pag. 57.
(3) Verlengia F.: Il Santo Bambino di Lama dei Peligni, pag. 47.
(4) Archivio di Stato di Chieti Corporazioni Religiose, Lama dei Peligni, Bilancio delle Cappelle dal 1793 al 1804, registro n. 68.
(5) Caprara P., Origini, pag, 48.
(6) Traduzione: San Nicola Natale a 19 / Santa Concetta (l’Immacolata Concezione), Natale a 17 / Santa Lucia, Natale 13 / San Tommaso, Natale a 4 passi.
(7) Traduzione: Chicchiricchi è nato Dio / risponde il bue dove? / Dice la pecorella meeh a Betlemme / Dice l’asino: aaah andiamo / Meeh a vedere / Uuhh Gesù.
(8) Traduzione: Ora viene Natale / non ho soldi / mi accendo la pipa / e vado a dormire.
(9) “Quaderno delle novene e tridui che si celebravano nella chiesa parrocchiale di
San Nicola e Clemente in Lama dei Peligni“, pagg. 9-10.
(10) Tancredi Madonna, Lungo le nostre valli, pag. 21.
(11) Traduzione: Mi ricordo che quand’ero un ragazzo / a Natale, la festa più bella / i taralli e le sfogliatelle / lo aspettavo da un anno / sino all’Epifania mi riempivo la bisaccia. / Ora invece ogni giorno è una festa / e i dolci si trovano in abbondanza. Ma alle analisi il colesterolo / sale troppo e la dieta devo fare / se ogni giorno si facesse Natale / mi toccherebbe mangiare biscotti integrali.
(12) Traduzione: Rami di pino / tu sei l’allegria / dell’anima e cuore della fanciullezza / Perché sei pieno di ghiottonerie / ma di Gesù non porti la carezza.
(13) Van Gennep A. La formazione delle leggende , pag. 63.
(14) Caramiello L., La natività del racconto. Elementi di sociologia del presepe, pag. 1.
(15) Caramiello L., La natività del racconto, op cit. pag. 8.
(16) Niola M., Il presepe, pag. 49.
(17) Cattabiani A., Il calendario, op. cit. pag. 66.
(18) Levi Strauss C., Razza, storia e altri studi di antropologia, pag.254.
(19) Giancristofaro E., Il mangiafavole, pag. 285.
(20) Gandolfi A., Riti di fine anno, pagg.25-26.
(21) Bo V., Festa e cultura, pagg. 42-43.
(22): Giancristofaro L.,: Le tradizioni al tempo di facebook, pag.9.
(23) Buttitta. A., “Sei di … se”, su Facebook i gruppi che evocano nostalgia e senso d’appartenenza alla propria città.
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