Sala della Narrazione

Ambiente pensato come area di incontro e scambio sociale dove la comunità possa riconoscersi nelle memorie e nelle voci narranti, aperta alle creazioni fantastiche della tradizione popolare giunta al tramonto così come alle suggestioni di un immaginario proiettato nel futuro.

Spazio evocativo di una dimensione narrativa – quella dell’oralità – che ha fondato la civiltà della scrittura, della stampa e della comunicazione multimediale odierna.

Area espositiva di rappresentazioni e personaggi dell’immaginario, ossia di una modalità di pensiero e di linguaggio comune ad ogni territorio ed epoca della specie umana.

Luogo dove scoprire il gusto della parola che narra e incanta, ma anche il potere trasformativo e rigenerante di un mondo fantastico che crea conoscenza e saggezza, attraversando miti, racconti e tradizioni, dall’antichità classica fino ai giorni nostri.


La Sala

Sala racconti

Il cuore del museo: uno spazio per narrare, libero per tutti, per presentare libri, tenere conferenze, per entrare nei meandri del museo.

Tavole di grandi dimensioni preparano il visitatore al viaggio, con testi esplicativi e iconografia del fantastico: figure e situazioni esemplari della tradizione folklorica italiana realizzate da giovani grafici e liberamente interpretate. La visita guidata è integrata dalla presenza di strumentazione multimediale e QRcode; un’assistente vocale (Alexa) permette al visitatore di interagire con la voce per ascoltare racconti di propria scelta e prossimamente saranno disponibili dispositivi per la visione 3D di racconti.

Fiabe e racconti tradizionali dell’archivio, in forma testuale o in lettura su audio-video, vengono restituiti alla collettività mediante un grande schermo, rispondendo alle varie richieste e curiosità. Sullo “scranno del narratore” si dà voce a chiunque voglia contribuire con ricordi e testimonianze ad arricchire il database del museo.

Il repertorio a disposizione comprende podcast tematici, un’audio-guida che localizza i racconti lungo percorsi turistici sul territorio, un motore di ricerca per consultare i documenti catalogati.

In questa sala si organizzano per quasi tutto l’anno eventi, in presenza e online, quali narrazioni a tema, presentazioni di libri, videoconferenze, letture, mostre, corsi di formazione, attività di laboratorio per gli studenti e rappresentazioni gestite da gruppi di animazione locale.

Le registrazioni video di tutti gli eventi sono disponibili nella pagina Archivio Eventi – Museo Italiano dell’Immaginario Folklorico (museoimmaginario.net) e nel canale YouTube del museo: https://bit.ly/canalemuseo (qui solo in parte)

Basilisco

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Secondo Plinio il Vecchio e Solino il basilisco sarebbe un piccolo serpente, lungo meno di venti centimetri e nonostante questo sarebbe la creatura più mortale in assoluto. È infatti velenosissimo e in grado di uccidere con il solo sguardo che pietrifica o incenerisce. Qualunque essere vivente entri in contatto con il suo fiato o venga morso muore sul colpo. Il basilisco vivrebbe nel deserto da lui stesso creato, perché ha la capacità di seccare gli arbusti oltre che con il contatto, con il solo sguardo. Un cavaliere che colpì il basilisco fu ucciso insieme al cavallo dal veleno che si infiltrò attraverso la lancia, come racconta anche il poeta Lucano. Durante l’alto Medioevo a Plinio si rifece Isidoro di Siviglia, che lo definiva come il re dei serpenti, i quali lo temono per il suo soffio velenoso e per il suo sguardo mortale. Il basilisco è riconoscibile grazie ad una macchia bianca che ha in testa come un diadema che gli vale, per altro, l’epiteto di “re dei serpenti”. Beda fu il primo ad attestare la leggenda di come il basilisco nascerebbe da un uovo deposto di tanto in tanto da un gallo anziano (altri autori hanno aggiunto di sette anni quando Sirio sia ascendente). L’uovo deve essere sferico e deve essere covato da un serpente o da un rospo sopra un nido di peli di Iuvi, processo, questo, che poteva impiegare fino a nove anni. Secondo l’enciclopedia di Rabano Mauro, sarebbe lungo mezzo piede e striato da macchie chiare. Alessandro Neckam fu il primo a riferire la teoria secondo la quale non era lo sguardo del basilisco a uccidere direttamente, ma la corruzione dell’aria che esso provocava (teoria sviluppata un secolo dopo da Pietro d’Abano). Nel XII secolo Teofilo (monaco), nella raccolta di ricette artigiane che ha preso il suo nome, indicò un procedimento dettagliato per creare un basilisco, attraverso la copula di due galli rinchiusi in una cella sotterranea e tramite la cova di due rospi: la polvere del basilisco bruciato e macinato serviva a creare il cosiddetto aurus hyspanicus, ottenuto a partire dal rame. Nell’Europa dell’età medievale, la descrizione della creatura cominciò ad inglobare caratteristiche proprie dei galli Disegno di Chiara Campioni