Storie di mugnai: dal “Mulino del Diavolo” alla Notte Santa
Nell’ambito degli appuntamenti domenicali “Incontri al Museo”, domenica 9 ottobre dalle ore 16:00 si parlerà proprio di una di queste figure: il “Mulino del Diavolo”.
Lo spazio domenicale del museo è dedicato ad approfondire tematiche sull’immaginario folklorico e ad offrire ai visitatori un’alternativa domenicale alla solita routine. L’incontro, a ingresso gratuito, è aperto a tutti e si tiene esclusivamente in presenza (non verrà pertanto trasmesso sui canali internet).
Ma perché il mulino affascina così tanto l’immaginario popolare? Oltre al patto demoniaco, questo luogo è al centro di un’altra fitta rete di credenze, specialmente legate ai giorni sacri.
La Notte Magica del mugnaio: quando il mulino si ferma a Natale
Nel vasto e misterioso panorama del folklore europeo, il mulino occupa un posto d’onore. È un luogo di trasformazione, di rumore e di potere, un motore tecnologico isolato dal villaggio. Ma c’è una notte all’anno in cui questa macchina potente diventa il fulcro di un’incredibile tensione soprannaturale: la Notte di Natale.
Se il “Mulino del Diavolo” (tema dell’incontro al museo) rappresenta il pericolo dell’avidità e del patto scellerato, il mulino nella notte di Natale racconta una storia diversa, che parla di riposo sacro, di confini tra i mondi e delle conseguenze del sacrilegio.
Il sacro divieto: perché le macine devono tacere
La Vigilia di Natale, e in particolare la notte santa, è un “tempo sospeso”. Non è più il vecchio anno e non è ancora il nuovo; è un momento in cui, secondo la tradizione, il velo tra il mondo dei vivi e quello degli spiriti si assottiglia.
In tutto il mondo contadino, vigeva una regola ferrea: a Natale, ogni lavoro deve cessare. Far girare un aratro, usare un martello o, peggio di tutto, far girare le macine del mulino, era considerato un atto di grave empietà.
Perché?
- È un sacrilegio: Il rumore assordante e profano della macchina avrebbe coperto il suono delle campane e il canto degli angeli che annunciavano la Nascita. Continuare a lavorare significava mettere il profitto umano al di sopra dell’evento divino.
- È un invito ai morti: Si credeva che nella Notte di Natale la “Processione dei Morti” o gli spiriti erranti vagassero per la terra. Un mulino in funzione, isolato e rumoroso, diventava il loro punto di ritrovo ideale.
Leggende della Notte Santa: cosa accade a chi osa lavorare
Il folklore è ricco di racconti morali destinati a chi, per avidità o stoltezza, decideva di ignorare il sacro riposo. Il mugnaio, figura già ambivalente e sospettata di avidità, era il protagonista perfetto per queste storie.
1. Il Mulino dei Dannati
Una leggenda diffusa narra di un mugnaio avido che, avendo ricevuto un’ultima commessa, decide di lavorare anche la notte della Vigilia.
A mezzanotte in punto, mentre le campane suonano in lontananza, un viandante incappucciato bussa alla porta del mulino. Chiede al mugnaio di macinare un sacco che porta in spalla. Il mugnaio, pensando all’ultimo guadagno, accetta.
Ma quando apre il sacco, scopre che non contiene grano, bensì ossa umane, ciottoli o terra gelata. Il viandante, che si rivela essere il Diavolo o la Morte stessa, ordina al mugnaio di macinare. Il mulino si blocca, le macine si spaccano o, nella versione peggiore, il mugnaio viene afferrato e gettato lui stesso tra gli ingranaggi. La mattina dopo, il villaggio trova il mulino distrutto e del mugnaio nessuna traccia.
Questa storia è un monito: chi profana il sacro trasformando la notte santa in un’occasione di lavoro, macinerà solo morte e sterilità.
2. Il Mulino dei Folletti (La versione benigna)
Non tutte le storie sono terrificanti. In altre tradizioni, il mulino diventa un punto d’incontro per creature del “piccolo popolo” (folletti, elfi, Nisse o Tomte nel folklore scandinavo).
In questi racconti, il mugnaio pio e saggio sa che deve fermare il mulino.
Prima di recarsi alla messa di mezzanotte, il mugnaio lascia il mulino pulito e ordinato. Sulla tavola, lascia un’offerta per i visitatori notturni: una ciotola di porridge (o risengrød) con una noce di burro, un boccale di birra e un po’ della farina migliore.
Durante la notte, i folletti locali arrivano, fanno festa, usano il mulino per i loro scopi magici (macinando forse la farina per il pane dell’anno nuovo) e, se soddisfatti dell’offerta, se ne vanno. Al suo ritorno, il mugnaio trova il mulino in perfetto ordine e, talvolta, una moneta d’oro sul fondo della ciotola vuota, o la garanzia di un anno di lavoro prospero.
Se il mugnaio, al contrario, fosse stato avaro, non avesse lasciato offerte o avesse cercato di spiarli, i folletti si sarebbero infuriati, sabotando le macine o facendo ammalare il bestiame.
Il significato antropologico: riposo, comunità e soprannaturale
Questi racconti, apparentemente semplici, rivelano profonde verità antropologiche sulla società pre-industriale.
- Il valore del riposo: In un mondo senza weekend o ferie pagate, le feste religiose erano l’unica garanzia di riposo collettivo. Il “Mulino di Natale” è una favola che sacralizza il riposo: non si smette di lavorare solo perché si è stanchi, ma perché il cosmo stesso lo ordina.
- Tecnologia vs. sacro: Il mulino è il simbolo della tecnologia umana che domina la natura (acqua, vento). La Notte di Natale è il momento in cui la tecnologia deve arrendersi al soprannaturale. L’uomo deve riconoscere che c’è un potere più grande della sua macchina.
- Generosità e comunità: La leggenda dei folletti premia il mugnaio che è generoso (lascia l’offerta) e che rispetta la tradizione (il “patto” non scritto con gli spiriti). È un richiamo alla condivisione, tema centrale del Natale, contrapposto all’avidità del mugnaio che lavora per sé.
La leggenda del mulino nella Notte di Natale usa l’orrore, la magia e il mistero per insegnare una lezione fondamentale: c’è un tempo per produrre e un tempo per fermarsi, contemplare e condividere. Ignorare questo equilibrio, soprattutto nella notte più magica dell’anno, significa perdere non solo il guadagno, ma l’anima stessa.
