La fata e il minatore – Leggenda della “Tana che urla”
Forse conoscete già questa bella leggenda che vi segnaliamo seguita da un breve commento con alcune indicazioni bibliografiche sull’argomento.
Il testo proposto è stato pubblicato nel sito https://lnx.buffardello.it/attivita/progetti/volaschio-project/intro-volasco-leggede/volasco-leggende/la-fata-e-il-minatore/ dell’associazione Buffardello Team e proviene da Fornovolasco nel comune di fabbriche di Vergemoli (LU).
Ecco il testo:
La fata e il minatore
Un giorno un giovane minatore di Fornovolasco, passando davanti alla Tana che Urla, udì un canto melodioso e soave. Aveva sentito dire che là in fondo vi abitavano le fate, ma fino a quel momento non ci aveva creduto. Rimase a lungo a sentire quei canti e nei giorni seguenti vi ritornò puntualmente.
Una mattina d’estate mentre si recava a lavorare, volle passare davanti alla grotta per poter dare un’occhiata all’interno, usando la sua lampada ad acetilene. Quale fu la sua sorpresa quando vide una bellissima fanciulla avvolta in un vestito leggero, intenta a ricamare con del filo d’oro una tunica dai colori sgargianti. Il minatore tentò di avvicinarsi, ma ella sprofondò nel buio, come una spirale di fumo. Per giorni e giorni l’uomo passò davanti alla grotta, ma le voci melodiose e la giovane fata erano scomparse.
L’estate passò e con l’arrivo dell’inverno, il giovane minatore rimaneva per lunghe ore nella sua fucina a lavorare il ferro e a pensare all’incontro che aveva avuto quella mattina d’estate nella grotta. Divenne triste, perse interesse al suo lavoro, e si ammalò. Nessun dottore e nessuna medicina sembravano avere effetto sulla sua malattia. Una notte, mentre giù dalla Pania scendeva un vento gelido, il minatore udì battere alla sua porta. Aprì e trovò un cesto colmo di erbe e fiori che crescono soltanto durante l’estate. Allora capì chi poteva aver portato fino alla sua casa quel cesto, e uscì verso la grotta correndo nella neve che cadeva fitta fitta. Riuscì a vedere la fata fuori dalla spelonca, le confessò il suo amore e le disse che avrebbe dato ogni cosa per poter stare con lei.
Ma la fata gli rispose che non era possibile e che se avesse mangiato quelle erbe sarebbe guarito e l’avrebbe dimenticata per sempre. Ma il giovane insisteva; allora la fata lo avvertì che se l’avesse seguita in fondo alla grotta non sarebbe più potuto tornare alla luce del giorno, detto questo, si allontanò nell’oscurità. Il minatore le corse dietro, ma all’improvviso le pareti della montagna si mossero e lo inghiottirono. Oggi, dal profondo della grotta si sentono ancora le voci delle fate e ogni tanto qualche colpo di piccone.
E’ il giovane minatore che cerca pepite d’oro per poter fare preziosi gioielli alle sue fate.
Ed ecco alcuni temi presenti:
La fata e il minatore: un’analisi antropologica approfondita
Il racconto popolare de “La fata e il minatore” rappresenta un affascinante esempio di narrazione folklorica che intreccia elementi simbolici, culturali e sociali. Ambientato nella suggestiva cornice di Fornovolasco, esso offre uno spaccato sul rapporto tra l’uomo e il soprannaturale, sulla percezione della natura come entità sacra e sul ruolo delle storie nella costruzione dell’identità collettiva. In questo saggio, esploreremo in modo approfondito i molteplici livelli di significato del racconto, suddividendolo in cinque sezioni principali: il contesto geografico e culturale, il simbolismo della grotta e della fata, la dialettica tra desiderio e limite, la funzione sociale del racconto e, infine, un confronto con altre tradizioni folkloriche europee. La bibliografia, posta a conclusione, fornirà strumenti utili per ulteriori approfondimenti.
1. Contesto geografico e culturale
Fornovolasco è una piccola località situata nella regione montuosa della Garfagnana, in Toscana. Questo territorio, caratterizzato da paesaggi aspri e ricchi di grotte, ha storicamente influenzato l’immaginario collettivo delle comunità locali. La “Tana che Urla”, citata nel racconto, non è solo un elemento scenografico, ma un topos narrativo che incarna la natura misteriosa e insondabile delle montagne. Le grotte, spesso percepite come ingressi a mondi altri, simboleggiano il confine tra il conosciuto e l’ignoto, un tema ricorrente nella mitologia e nel folklore di molte culture.
La cultura contadina e mineraria della Garfagnana ha profondamente plasmato le storie tramandate oralmente. In una società basata su un rapporto intimo con la natura, i racconti di fate, spiriti e altre entità sovrannaturali fungono da metafore per esprimere timori, desideri e credenze legati alla vita quotidiana. La figura del minatore, protagonista della storia, rappresenta l’uomo che sfida l’oscurità e il pericolo per estrarre le risorse necessarie alla sopravvivenza, un tema che si intreccia con la ricerca spirituale e la trasgressione dei limiti imposti dalla natura.
2. Il simbolismo della grotta e della fata
La grotta – la “Tana che Urla” – è un luogo di transizione, una soglia tra il mondo umano e quello soprannaturale. La sua denominazione evoca una dimensione acustica che amplifica il senso di mistero: il canto melodioso delle fate si contrappone al suono inquietante del vento che urla. Questa dualità sonora riflette la natura ambivalente del luogo, al contempo affascinante e minaccioso.
La fata, descritta come una figura di straordinaria bellezza, è un archetipo che unisce elementi di attrazione e pericolo. Nel folklore europeo, le fate spesso rappresentano forze naturali incarnate, portatrici di doni ma anche di insidie per chi tenta di avvicinarsi troppo. La tunica ricamata con fili d’oro, menzionata nel racconto, è un simbolo di ricchezza e potere, ma anche di una dimensione inaccessibile all’uomo comune. Il gesto della fata che scompare nella grotta quando il minatore tenta di avvicinarsi suggerisce l’impossibilità di possedere ciò che appartiene al regno del soprannaturale.
3. Desiderio e limite: una dialettica universale
Il racconto sviluppa una potente dialettica tra il desiderio umano e i limiti imposti dalla natura e dal soprannaturale. Il minatore, attratto dalla bellezza della fata, incarna il desiderio di trascendere la propria condizione mortale e di accedere a una dimensione superiore. Tuttavia, la fata lo avverte dei pericoli: seguirla significa abbandonare per sempre il mondo della luce e della quotidianità.
Questo tema è ricorrente nelle tradizioni folkloriche, dove l’interazione con il soprannaturale comporta sempre un prezzo. La scelta del minatore di seguire la fata nella grotta può essere interpretata come un atto di hybris, una trasgressione dei limiti umani che conduce alla sua trasformazione definitiva. Il suo destino – rimanere per sempre nel mondo sotterraneo – rappresenta una forma di punizione, ma anche una nuova forma di esistenza, in cui egli diventa parte integrante del regno delle fate.
4. Funzione sociale del racconto
“La fata e il minatore” non è solo una storia di intrattenimento, ma svolge importanti funzioni sociali e pedagogiche. In primo luogo, il racconto funge da monito, insegnando a rispettare i limiti imposti dalla natura e dalle tradizioni. La figura del minatore, che sfida il soprannaturale e ne subisce le conseguenze, invita a riflettere sui pericoli dell’ambizione eccessiva e della curiosità incontrollata.
In secondo luogo, la narrazione rafforza l’identità collettiva della comunità di Fornovolasco. Attraverso la trasmissione orale, essa perpetua un senso di appartenenza al territorio e alle sue peculiarità. La grotta, le fate e il minatore diventano simboli di una memoria condivisa, che collega le generazioni passate, presenti e future.
5. Confronto con altre tradizioni folkloriche europee
Il tema del rapporto tra uomo e soprannaturale è comune a molte tradizioni folkloriche europee. Ad esempio, nelle leggende irlandesi, le fate (o Sidhe) sono spesso descritte come esseri che abitano colline e grotte, e l’interazione con loro comporta sempre un rischio. Similmente, nelle fiabe germaniche, il mondo sotterraneo è spesso associato a ricchezze nascoste e a prove iniziatiche.
Un elemento distintivo del racconto di Fornovolasco è l’importanza attribuita al ciclo delle stagioni, simboleggiato dalle erbe estive che curano il minatore. Questo dettaglio sottolinea il legame profondo tra la narrazione e il contesto naturale della Garfagnana, distinguendolo da altre tradizioni.
Conclusioni
“La fata e il minatore” è un racconto che, pur nella sua semplicità, racchiude temi universali e senza tempo. Attraverso il simbolismo della grotta, della fata e del minatore, esso esplora la complessa relazione tra uomo, natura e soprannaturale, offrendo una riflessione profonda sui limiti dell’esistenza umana. La sua funzione pedagogica e identitaria lo rende un elemento prezioso del patrimonio culturale di Fornovolasco e della Garfagnana.
Bibliografia
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- Eliade, Mircea. Il sacro e il profano. Bollati Boringhieri, 1957.
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- Zipes, Jack. Fairy Tales and the Art of Subversion. Routledge, 1983.
- De Martino, Ernesto. Morte e pianto rituale nel mondo antico. Bollati Boringhieri, 1958.
- Lévi-Strauss, Claude. Mito e significato. Il Saggiatore, 1978.
- Thompson, Stith. Motif-Index of Folk-Literature. Indiana University Press, 1932.