Schiaffi botte pietre dal mondo dei fantasmi – Domenica 16 al museo
Se ne parlerà domenica 16 novembre dalle ore 16 al Museo con racconti e collegamenti semiotici. Qui un breve saggio introduttivo che riflette sugli aspetti antropologici.
1. Introduzione: Il corpo e la casa come spazi liminali
L’immaginario collettivo, supportato da un vasto corpus di tradizioni orali e fonti folkloriche, è popolato da narrazioni in cui il confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti si fa poroso. Il tema dell’incontro “Schiaffi, botte, pietre” ci impone di superare la semplice catalogazione del “credenziale” per interrogarci su due vettori specifici dell’interazione numinosa: l’aggressione al corpo (schiaffi, botte) e l’incursione nello spazio domestico (pietre).
In molteplici sistemi di credenze, il corpo dell’individuo e lo spazio della casa non sono entità sigillate, ma arene permeabili. L’aggressione spiritica, in quest’ottica, cessa di essere una mera “infestazione” per diventare un linguaggio. Come nota Ernesto De Martino ne Il mondo magico, il “dramma” della presenza è un tentativo di ri-stabilire un ordine messo in crisi. Il fantasma che “picchia” o “lancia sassi” non è un’anomalia, ma un attore che esige riconoscimento attraverso un’azione fisica e tangibile.
2. La fenomenologia dell’assalto invisibile: “Schiaffi e botte”
La prima categoria di manifestazioni, “schiaffi e botte”, si inscrive nell’ambito della fenomenologia della possessione o dell’oppressione. Si tratta di un’esperienza che si manifesta direttamente sul corpo del soggetto: ecchimosi che appaiono senza trauma apparente, la sensazione di essere toccati, spinti o percossi da un’entità invisibile.
- Il corpo come testo: Antropologicamente, questi segni fisici (gli stigmata dell’invisibile) funzionano come prove inconfutabili dell’interazione. Essi trasformano un’esperienza soggettiva (la paura, l’oppressione) in un fatto oggettivo e socialmente visibile (il livido).
- Gestione del conflitto: Spesso, questi fenomeni emergono in contesti di forte stress psicologico o di conflitto sociale represso. L’aggressione spiritica permette al soggetto (frequentemente figure marginalizzate o in fasi di transizione, come adolescenti o donne in contesti patriarcali) di dare voce a un disagio che non può essere verbalizzato altrimenti. L’aggressore non è il padre o il marito, ma il “fantasma”, spostando il conflitto dal piano sociale a quello soprannaturale.
3. La materialità del numinoso: “Pietre dal mondo dei fantasmi”
La seconda categoria, il lancio di “pietre”, introduce un elemento fondamentale per l’analisi DEA: la cultura materiale del soprannaturale. Il fenomeno del poltergeist (ted. “spirito rumoroso”), che spesso include la caduta di sassi all’interno di stanze chiuse o il lancio di oggetti, è rilevante non tanto per la sua spettacolarità, quanto per la sua capacità di produrre “prove”.
A differenza dell’aggressione corporea, che lascia tracce deperibili sul corpo, la pietra è un oggetto permanente.
L’oggetto-prova: La pietra che cade dal soffitto non è solo un sasso; è un messaggio. È un elemento del mondo naturale decontestualizzato e ricontestualizzato con forza nel mondo culturale (la casa). Esso agisce come “agente” (secondo la prospettiva di Alfred Gell) che materializza la presenza e l’intenzionalità dell’entità.
Questi oggetti diventano spesso parte di una “contrattazione” con l’invisibile. Le pietre vengono raccolte, a volte esposte, altre volte sottoposte a rituali di purificazione o di esorcismo. Esse sono la prova tangibile che “qualcosa è successo”, un punto d’appoggio indispensabile per l’intervento del mediatore rituale (lo sciamano, l’esorcista, l’esperto di folklore) che dovrà interpretare il gesto e ristabilire l’ordine.
4. Il “Fantasma” come attore sociale
Analizzare “schiaffi, botte e pietre” in una prospettiva demo-etno-antropologica significa riconoscere questi fenomeni come strategie comunicative. L’aggressione fisica da parte del “mondo dei fantasmi” rappresenta una forma estrema di interazione che emerge quando altri canali di comunicazione—sociali, psicologici o rituali—si sono interrotti.
L’entità che aggredisce fisicamente non è quasi mai uno “spettro” disinteressato; è spesso un defunto che non ha trovato pace (restless dead), un antenato dimenticato o un’entità legata a un’ingiustizia subita in quel luogo. L’aggressione fisica e materiale (le percosse, le pietre) è l’ultimo tentativo disperato di farsi ascoltare, di denunciare un disordine nel mondo dei vivi (un’eredità contesa, un lutto non elaborato, una violenza nascosta).
L’antropologo, pertanto, non è chiamato a verificare l’autenticità del lancio di pietre, ma a domandarsi: “Perché, in questa comunità, i morti hanno bisogno di lanciare pietre per essere ascoltati?” La risposta a questa domanda ci dice molto di più sui vivi che sui morti.
